Puoi essere un attore e cercare rifugio in una città meno grande della capitale, lontano dalle usanze metropolitane, godendoti il giardino, il panorama, il Monte Circeo in lontananza e, se il cielo è limpido, le isole ponziane. Puoi essere, invece, Gian Maria Volonté e risiedere a Velletri, estremo bastione dei Castelli Romani, amando il territorio e studiandone le sue peculiarità sociali, storiche, civili.
Così il massimo interprete del cinema impegnato del Novecento, sguardo magnetico e grande cultura, nelle sue giornate si imbatte nella lettura di un libro non valorizzato. Un’opera scritta da un sacerdote ancora in vita negli anni Novanta, padre Italo Mario Laracca, sotto forma di diario: in quelle pagine il curato ha praticamente appuntato, giorno dopo giorno, il dramma della seconda guerra mondiale nella città di Velletri. Sirene, bombe, crolli, disperazione, morte: un tessuto urbanistico e architettonico che era il fiore all’occhiello della provincia di Roma, già capoluogo di una vasta area negli anni passati, diventa un cumulo di macerie amorfe. Così arriva, da intellettuale partigiano quale era, l’intuizione di Gian Maria Volonté: prendere ispirazione dal diario di padre Laracca per una megagalattica e sentita rievocazione storica, uno dei più alti (e forse unici) momenti di memoria corale e collettiva italiana che rimetta al centro della città interessata (proprio in quella piazza dove sorgono, uno di fronte all’altro, il Palazzo Comunale e l’ex Palazzo della Provincia) la storia e le sue atroci ferite. Dall’idea alla realizzazione passa poco tempo: il bombardamento feroce del 1944, che cancellò o quasi dalla cartina geografica Velletri, avrebbe “festeggiato” nel 1994 il suo cinquantesimo anniversario. Gian Maria raduna gli amici di sempre, organizza, e pianifica “Tra le rovine di Velletri”: per il mese di luglio tutto deve essere pronto. Sarà il suo ennesimo e immenso omaggio alla cittadinanza veliterna (che a lui deve molto anche per la riapertura del Teatro Comunale) prima della scomparsa, sopravvenuta il 6 dicembre dello stesso anno. Le scenografie furono curate dal Maestro Claudio Marini, che ripercorre in esclusiva quei momenti raccontandoci Volonté nel suo volto più umano, quello appassionato e strabordante di coscienza civile. “È emozionante ricordare ‘Tra le rovine di Velletri’ – dice Claudio Marini – “perché nacque tutto così, per caso. Stavamo giocando a scopone a casa di Gian Maria, e lui disse di aver letto il diario di padre Laracca. Tutti noi lo conoscevamo, ma nessuno gli aveva dato l’importanza che meritava. Arrivò quindi la sua proposta, disse: ‘Sono cinquanta anni dal bombardamento di Velletri, perché non facciamo una rievocazione?’.
E senza perdere tempo assegnò i compiti, chiedendo a me di occuparmi della scenografia. Accettammo tutti ma senza prenderlo troppo sul serio, piuttosto pensando ad un’idea che mai si sarebbe concretizzata. Nel mese di maggio 1994 mi chiamò e mi disse che era confermato: il 1° luglio si sarebbe svolta la prima data dell’evento. Confesso” – continua il Maestro – “di essermi preoccupato. Il Palazzo Comunale di Velletri è largo quasi 50 metri e alto quasi 30, dove avrei dovuto mettere le mani? Feci questi enormi striscioni di 14 metri di altezza. Gli originali oggi sono andati distrutti. Li realizzai all’interno della palestra della scuola “Mariani”: approfittai del fatto che dovevano ristrutturarla per sporcare. Gian Maria non ha mai voluto vedere cosa stessi facendo. Vide i teloni per la prima volta quando furono montati”. E il momento in cui quegli enormi veli venivano srotolati dal tetto dell’imponente Comune di Velletri, quasi come un segno del destino Volonté fu ripagato della sua cieca fiducia nell’amico di sempre: “Man mano che il telone saliva su e veniva srotolato uscivano i nomi delle città martiri, lui li leggeva e dallo sguardo si capiva quanto fosse emozionato. E noi con lui…”. La serata richiamò migliaia di persone, sia per la forte carica emotiva dell’evento che per il coinvolgimento pressoché totale dei cittadini di Velletri. Ma due firme alla regia come Gian Maria Volonté e Angelica Ippolito non potevano restare in una dimensione locale e passare inosservate ai riflettori nazionali, come ricorda bene Claudio Marini: “C’erano giornalisti di ogni testata, tutti i giornali che contano, persino la televisione spagnola. Gian Maria era al bar vicino al Comune e diceva di non esserci per nessuno. Fu però stanato da Marlisa Trombetta, giornalista del TG che gli chiese un’intervista. Lui però rifiutò, anche se la conosceva, rimandando tutto alla fine dello spettacolo. Voleva a tutti i costi evitare che dopo aver registrato le sue dichiarazioni la stampa non assistesse alla rappresentazione”.
La RAI montò diversi filmati, anche se non trasmise “Tra le rovine di Velletri” perché Volontè si oppose ai tagli previsti per motivi di tempo e di spazio. La peculiarità di questo spettacolo sta nel fatto che gli attori erano impiegati, contadini, insegnanti, musicisti: cittadini comuni, gente del popolo. L’alchimia che si creò tra gli interpreti e il regista fu qualcosa di magico, come magico era il rapporto tra l’attore e la sua città adottiva: “Gian Maria viveva Velletri con semplicità. Spesso lo si vedeva in contrada Aria Fina, dove abitava, seduto sul muretto a mangiare il panino con la mortadella vestito come un contadino. Il contatto con la gente semplice per lui era una cosa straordinaria e lo dimostrò anche con gli attori dello spettacolo. A parte qualcuno che aveva esperienze teatrali, erano tutte persone non abituate a recitare. Ma bisognava vedere come gli suggeriva le cose, con quale delicatezza... Aveva un grande carisma, ma non si arrabbiava mai”. Dal tripudio di luglio alla mesta notizia della scomparsa, sul set, nel dicembre dello stesso anno: il ricordo di Claudio Marini si fa più intenso, la voce si assottiglia. “Tra le tante cose che mi diceva Gian Maria, spesso c’era il rimprovero di non andarlo mai a trovare. Non ci si preoccupava, eravamo tutti vicini. Poi quando ho sentito al telegiornale la notizia della sua morte è stato un colpo. I funerali laici si svolsero sotto una pioggia torrenziale, con migliaia di persone, numerose autorità. Ma la sera, a cerimonia finita, quando il carro funebre partì per avviarsi verso la Maddalena, eravamo in quattro a salutarlo. Noi che ci giocavamo a scopone… anche questo viaggio di Volontè da Velletri alla sua terra fu qualcosa di intimo e in un certo senso teatrale, per pochi intimi”. Storie di vita quotidiana interpretate da un uomo e da un attore straordinario, che con la sua sensibilità ha lasciato il segno e in ogni suo ruolo ha comunicato, con la parola e con il corpo, tutto il pathos interiore del personaggio stesso. Un attore, Volonté, che ha saputo dipingere – per tornare all’arte – un capolavoro magico a Velletri (e non solo) e che oggi, non ce ne vogliano i tanti bravissimi nomi del cinema internazionale, rimane impareggiabile per quella sua carismatica delicatezza con cui sapeva insegnare le battute e le intonazioni di voce a un contadino di provincia.
Articolo e intervista in esclusiva curati da Rocco Della Corte
Articolo e intervista in esclusiva curati da Rocco Della Corte