Siccome ho vissuto e vivo nel mondo delle Organizzazioni Non Governative dall’interno, oltre il diritto, sento il dovere d’intervenire. Una premessa storica. Lo spirito generatore delle ONG ha un precedente in quello generatore di un certo tipo di ordini religiosi. “Il vangelo dice di fare certe cose, che la chiesa, attualmente, non fa abbastanza, per cui io e dei miei amici ci offriamo per farle”. Ecco San Benedetto, San Francesco, San Vincenzo de’ Paoli. ( Da questi nomi si capisce il tipo di ordine: ho escluso deliberatamente ordini politicizzati come i Gesuiti, o militarizzati come i Templari).Come tutti sanno, il rapporto tra la Curia romana e questi ordini fu vario, oscillando fra gli estremi d’una soppressione da un lato e di un appoggio morale ed anche finanziario dall’altro. Saltiamo ora al secondo dopoguerra. Quando l’avvio del “miracolo economico” fu chiaramente percepito come irreversibile, e quindi lo fu anche il senso di sicurezza economica individuale e familiare di sempre più persone,cominciò ad emergere da alcune coscienze, sia del mondo cattolico che di quello socialista e comunista, un bisogno, inculcato dalla formazione ricevuta di “salvare il mondo” nell’uno, dell’internazionalismo proletario nell’altro, di fare qualcosa, e da subito, per chi, nel mondo, stava peggio di noi. Un bisogno che la politica governativa, giudicata insufficiente,distratta e comunque poco affidabile da quel punto di vista, rendeva più forte in quelle coscienze. Ed ecco nascere le ONG, in genere mirate a lottare direttamente contro la fame, le malattie e l’ignoranza nel mondo, con fondi propri, e generalmente con volontari disposti-come gli antichi frati- a dare senza misura ed a ricevere il minimo per la sopravvivenza. A questo punto il corrispondente della Chiesa nel mondo moderno, lo stato, s’interessò di questo. Come la Chiesa allora da un lato volle vedere chiaro in ognuna, dall’altro, visto che esse potevano integrare, con un saldo attivo di “costi-benefici” , la propria politica economica ed internazionale, non solo le autorizzò, ma le finanziò generosamente. Senza cambiare sigla molte di esse divennero economicamente Organizzazioni Governative, e nel manovrare il rubinetto del flusso monetario in entrata i partiti ebbero una parte importante. Sul loro operato ho da dire una sola cosa: che la serietà di ogni ONG è precisamente misurabile. Fatto 100 il budget d’ogni progetto, più la percentuale di esso spesa in Italia ed in stipendi per personale italiano è piccola, rispetto a quanto speso in loco, ovviamente per i destinatari finali del progetto, più la ONG è seria. E vengo all’oggi. A quanto mi risulta, da decenni, e decisamente più nel ventennio berlusconico, il rubinetto governativo si è sempre più chiuso alle ONG. La demolizione dello stato sociale ha avuto anche questo aspetto. Era un nodo che doveva venire al pettine, nello sfrenato acconciarsi del neocapitalismo per l’orgia della deregolazione senza più limiti.Chi aveva scientemente programmato, di riforma in riforma dei rapporti tra capitale e lavoro, la precarizzazione, schiavizzazione, affamamento, licenziamento, la riduzione in miseria dei propri concittadini, doveva naturalmente e necessariamente non tollerare che qualcuno cercasse di togliere da quelle condizioni degli “estranei”.Chi faceva rispettare con la forza istituzionale l’integralismo capitalistico applicato ad individui ed aziende, naturalmente e necessariamente doveva applicarlo ai rapporti tra stati. “Se in te, stato del Quarto Mondo, c’è la fame, è un problema tuo, non mio. Rapporti con te li avrò, ma solo se ci guadagno io, e se questo farà aumentare la fame al tuoi interno è un problema tuo. Io sono uno stato serio, mica sono madre Teresa”. Già a questo punto le ONG che invece volevano fare come Madre Teresa, erano diventate inutili a questo tipo di stato. Ma tale chiusura non solo non le distrusse, bensì le spinse a cercare fondi propri, che permisero loro d’agire con maggior libertà e rapidità. Diciamo dall’inizio del millennio sono nate e d hanno agito, in tutto il mondo, non all’ombra degli stati, innumerevoli iniziative d’aiuto vero, e, da quanto so, soprattutto in Germania.. Siccome il bene fa poco rumore, la cosa è stata tollerata abbastanza bene dall’alto. Non faceva notizia che la Cooperazione italiana fosse assente in una determinata emergenza africana, e che vi fosse invece, attivamente, una ONG italiana. Ma quando, su input iniziale di Minniti, la desertificazione delle acque del mediterraneo centrale mirata all’omissione di soccorso in mare è diventata legge dello stato, e le ONG hanno interrotto la flagranza di questo inaudita violazione del fondamento d’ogni codice morale e della navigazione, è scoppiata la bomba. Come prima, più di prima, le ONG dimostravano che ciò che gli stati NON facevano si poteva fare. Le ONG, salvando, facevano fare una brutta figura agli stati, e gli “uomini forti” di questi pensarono di salvare la faccia capovolgendo la frittata: gli stati che lasciano affogare difendono la legge, dunque fanno bene, le ONG che salvano sono contro la legge, dunque fanno male, e sono criminali. Da tutto ciò emerge qualcosa d’enorme, che pare ancora non avvistato da tanti attenti osservatori. A fronte d’una necessità di “corridoi umanitari” che perfino Salvini ha in bocca, e che solo le ONG o navi e pescherecci di eroici capitani hanno finora aperto con le loro prue, la linea teorica ( grazie al Cielo non realizzatasi anche per l’intervento di navi istituzionali, che hanno trainato in porto dei barchini con profughi senza esser minacciate di multe, e non so esattamente quante per opera e permissione del ministro Toninelli e quante della ministro Trenta)) ha come risultato finale la consegna del MONOPOLIO del destino dei profughi agli scafisti, e, con i regali di motovedette, alla cosiddetta guardia costiera libica, ai loro compari affamatori e seviziatori dei luoghi di detenzione di profughi. I quali compari hanno avuto un modello molto più vicino dei lager di Himmler per la loro organizzazione : quello dei campi di concentramento di Tripolitania e Cirenaica concepiti da Badoglio e Graziani negli anni trenta, dove morirono per le condizioni di detenzione oltre 40.000 libici.