Oltre a Vittorio Nocenzi, sarà illustre relatore della serata-evento organizzata dall'Associazione Memoria '900 con il patrocinio del Comune di Velletri e della Fondazione Cultura il giornalista e critico musicale Alfredo Saitto.
Intervista a cura di Rocco Della Corte
VELLETRI - Al Teatro Artemisio Saitto, che ha lavorato sempre nel campo della cultura e della musica, porterà la sua esperienza e le sue competenze per comprendere al meglio i caratteri della musica del cantautore Luigi Tenco. Un nome di spessore, dunque, a cui abbiamo posto alcune domande per inquadrare meglio il contesto storico, sociale e poetico dei tempi del cantautore di Cassine. Ecco le risposte di Alfredo Saitto.
Alfredo Saitto, lei è un autorevole esperto musicale. Cinquant’anni dopo la morte di Tenco, come è cambiato il modo di fare musica rispetto a quel tempo e quali erano le prerogative di un cantautore negli anni ‘60?
La trasformazione del mondo musicale italiano, e non solo, in questi ultimi cinquant’anni ha completamente cambiato lo spirito e l’approccio di fare, usufruire e vivere la musica. Se sotto il profilo delle tecnologie lo scenario odierno offre delle possibilità impensabili in passato, a costi accessibili a tutti, il mercato e la veicolazione del “prodotto dell’ingegno” (perché tali rimangono una canzone, una performance o un progetto sonoro) vivono su un concetto di “falsa democrazia” che solo sulla carta offre opportunità a chiunque voglia essere protagonista, ma in realtà permette ad un ristretto giro di figure (tutte riunite in una sorta di cerchio magico) di decidere chi deve avere successo e di annichilire tutto il resto che si pone come un’alternativa valida (e spesso anche migliore). Dopo mezzo secolo, chi ne ha fatto le spese sono la creatività ed il talento che si sono visti superare da operazioni in cui la visibilità, l’esposizione nei media che contano su numeri enormi e far parte di meccanismi che catalizzano più del 90 per cento dell’audience sono la ricetta (sfortunatamente unica) vincente per una enorme popolarità “a tempo”. Le linee guida di oggi si basano su due concetti principali: correre per raggiungere grandi numeri al primo colpo (diventare un fenomeno del momento) e cercare chi dovrà essere quello che deve fare i grandi numeri domani. Non è importante costruire una carriera lunga negli anni, non c’è interesse nel creare qualcosa che rimanga nel tempo. Oggi si lavora all’urlo: “avanti un altro”. Le canzoni di successo hanno vita breve come i loro protagonisti. E tutto il resto non esiste. Dobbiamo prendere atto che se un Luigi Tenco nascesse oggi non avrebbe la possibilità di esprimere il suo genio e sarebbe lasciato ai margini di un mondo che non vuole alternative diverse, non è interessato ad alzare il livello della proposta, non cerca messaggi colti e raffinati, non vuole che la cultura sonora brilli di sostanza, ineluttabile poetica, o rispecchi le sensibilità di chi ha il coraggio di mettere se stesso in gioco con un testo, una melodia o una sfumatura del suo essere artista vero. Posso dire, per sottolineare con convinzione questo concetto, che se i Beatles si formassero oggi, tra cinquant’anni non se li ricorderebbe quasi nessuno.
Qual è il suo giudizio critico su Luigi Tenco? Pregi e difetti del cantautore di Cassine, naturalmente nei limiti del possibile vista la riduttività della domanda?
Parafrasando una frase di Ungaretti che diceva: “La poesia è poesia quando porta con sé un segreto”, credo che il raffinato suo concetto possa funzionare anche se cambio il soggetto e dico che: Una canzone d’autore è una canzone d’autore quando porta con sé un segreto”. Ebbene, la canzoni (poche per oggettivi problemi di tempo a disposizione) di Luigi Tenco hanno questa prerogativa: portano con loro un segreto. Composizioni con nulla di criptico e, tantomeno, bisognose di letture contorte, ma semplicemente che lasciano spazi infiniti, a chi l’ascolta, per immaginare ciò che si vuole sulla scorta delle proprie conoscenze ed esperienze personali. Se pensiamo al particolare periodo vissuto da Tenco (i favolosi Anni Sessanta) in cui anche la musica popolare subiva cambiamenti di linguaggio e di espressione sonora, possiamo dire con certezza che alcune pagine importanti di questa evoluzione sono state scritte dal cantautore ligure e, quindi, a lui dobbiamo molto, tanto in termini di emozioni che ci ha regalato che di una “visione altra”, volta ad una cultura modernista. Dovendo rispondere alla domanda che mi richiede, sempre con il dovuto rispetto che si deve ad un grande artista, un giudizio critico di Tenco, mi focalizzo sulla sensazione di enorme rimpianto che ci ha lasciato la sua scelta scellerata di farla finita (che posso anche comprendere ma non condividere). Quello sparo alla tempia non ci ha permesso di poter godere di quello che di bello avrebbe potuto scrivere e cantare, per quelle altre importanti pagine che un autore del suo calibro, sicuramente, ci avrebbe potuto dare. Il dispiacere di non aver potuto godere della sua arte mi lascia con l’amaro in bocca e la sua scelta di non combattere la considero un segno di debolezza che mal si coniuga con la forza dimostrata dalle sue canzoni.
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Alfredo Saitto |
Qual è il pezzo che a suo avviso rispecchia di più il valore musicale del cantautore Tenco?
Quando si parla della produzione di un cantautore è sempre difficile trovare la canzone simbolo di un mondo complesso e variegato che lo stesso esprime con il suo canzoniere. Per Luigi Tenco la scelta si complica perché si deve basare su una carriera breve ed interrotta improvvisamente. Il cantautore ligure, nonostante il poco tempo che la vita gli ha messo a disposizione, è comunque riuscito ad offrire una fotografia chiara del suo mondo creativo fatta di innumerevoli toni di grigio che vanno dal bianco al nero. Semplificando molto e limitando non poco la disanima scelgo la sua ultima canzone “Ciao Amore, Ciao” non come la migliore che ha scritto, bensì come sintesi di una visione esistenziale ed espressiva del suo artefice. Un brano complesso nella sua gestazione, nato con vari testi e varie stesure melodiche ed arrivato sul palco del Festival di Sanremo dopo disamine, ripensamenti, scelte obbligate da censure e discografici e un’indecisione di fondo del protagonista sul risultato finale. Per scelta strategica “Ciao Amore, Ciao”, come noi la conosciamo, ha rinunciato ad un messaggio precedente che si basava su un testo antimilitarista, impegnato socialmente e voglioso di approfondire territori fino ad allora inesplorati dalla musica pop. Luigi era un artista sensibile, coerente con il suo pensiero da socialista convinto, consapevole che per raggiungere il suo scopo doveva mediare fra le occasioni che gli presentavano, interlocutori non certo illuminati, un cambiamento epocale del messaggio popolare tramite le canzoni e un periodo in cui i conservatori combattevano la loro battaglia dando fondo a tutte le convenzioni che giorno dopo giorno venivano messe in discussione da una generazione giovanile che inseguiva i sogni del cambiamento. Tenco era sollecitato dalla necessità di dover mediare con un ambiente che culturalmente era molto lontano da lui e che voleva fagocitarlo per usarlo a suo piacimento. Avrebbe potuto combattere e, per un periodo, ci ha provato con tutte le sue forze, ma ad un certo punto non ce l’ha fatta più ed ha messo il punto nel modo più disperato che conosceva: suicidandosi.
A suo avviso l’opinione pubblica ha compreso il messaggio veicolato dai testi di Tenco oppure ha travisato tutto in funzione della sua tragica fine?
Proviamo ad immaginare come i media e l’opinione pubblica racconterebbero il fatto e reagirebbero alla notizia, se quello che è accaduto nella stanza 219 dell'Hotel Savoy di Sanremo, alle prime ore del 27 gennaio del 1967, avvenisse oggi. All’epoca il fatto di cronaca nera lasciò stupiti gli italiani anche per il contesto dove era avvenuto: la Città dei fiori dove il massimo, fino a quel momento, dello scandalo era ad appannaggio della cantante che si era separata dal marito o del protagonista di turno con le corde vocali arrossate che cantava in playback e non dal vivo come tutti. Nonostante le pagine scritte sui giornali dai giornalisti presenti al Festival, l’atto di Tenco fu raccontato lasciando ampi spazi ad un mistero di fondo. Non è un caso che per molte decadi a seguire si è cercata la “reale storia” con indagini della magistratura, libri verità, teorie complottistiche e quant’altro la confusione dell’informazione può creare per autoalimentarsi. Oggi, un fatto del genere, sarebbe materiale per ore ed ore di trasmissioni di approfondimento, migliaia di dichiarazioni di chi lo conosceva bene o di ipotetiche persone (più o meno) informate dei fatti, tuttologi che nel ruolo di commentatori accreditati (ma chi gli ha dato la patente per fare questo?) giustificano il gettone di presenza sparando teorie bizzarre e analisi psicologiche e sociologiche dove tutto ed il suo contrario ci sta per un punto di più share televisivo. Non ci voglio pensare e mi concentro su quello che avvenuto cinquant’anni fa. Un dato è certo: nonostante la cruda realtà della morte di un artista, a noi sono arrivate le sue belle canzoni, le sue parole intelligenti ammantate di poesia, la sua voce particolare e discreta, facendoci quasi dimenticare i motivi ed il perché lui non c’è più. Un bell’esempio che ci dimostra che la vera arte sovrasta gli errori del suo autore e ci offre, sopra ogni cosa, suggestioni di provata bellezza. Irrinunciabile cibo per l’anima anche se oggi, sono in molti che hanno deciso, per inspiegabile ignoranza, di stare a dieta strettissima… rasentando quasi l’anoressia. Peggio per loro. Ma anche per noi che ne subiamo gli effetti negativi.
Nonostante siano passati cinquant’anni, la testimonianza di quella scuola di cantautori resta attuale? Se sì, in che modo?
Prima di rispondere a questa domanda voglio ribadire la mia personale posizione nei confronti del Premio Nobel a Bob Dylan. Io sono tra quelli che ha trovato giusta questa scelta, considerando certe canzoni d’autore di grande valore, ponendosi come una sorta di “poetica letteratura” del nuovo millennio. Certi messaggi, concetti espressivi, storie raccontate con amore e genialità, in una società come quella moderna dove il libro è, nei migliori dei casi, sostituito da uno schermo, ha bisogno di arrivare a chi è disponibile a recepirli in una forma diversa dove le parole sono supportate da un suono, una melodia o un canto. Detto questo la scuola genovese di Tenco, Paoli, De Andrè… sono un patrimonio della cultura italica come la scuola dei cantautori romani nata al Folkstudio nel cuore di Trastevere, o quella milanese dei Gaber, Jannacci… proliferata nella zona dei Navigli e di Porta Romana. Tenere vive queste intuizioni creative, dei brani meravigliosi che sfidano il tempo che scorre, la vita, le debolezze, gli errori, ma anche i successi dei protagonisti di allora, è doveroso e necessario per arginare la scellerata corsa ad un domani senza futuro che, per raggiungere il suo scopo fatto in primo luogo di grandi guadagni, tanti numeri e del “chi se frega della qualità”, e vuole che il ricordo del passato sia sempre più velocemente accantonato per avere un terreno vergine ed ignorante. Oggi più che mai dovremmo fare tesoro di una grande intuizione del fisico e filosofo Albert Einstein che ha detto: “Non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato”.
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