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L'uomo che resta uomo: l'ombra pensierosa di Giorgio Bassani, uno scrittore "dietro la porta"

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Un giardino come spazio protetto, per dimenticare gli orrori al di là del proprio perimetro. Dal "Decameron" ai "Finzi-Contini", il locus amoenus si oppone arditamente ad un esterno terribile, diventando metafora per quella stessa fragile Ferrara labilmente custodita dalle mura perimetrali fatte restaurare da Italia Nostra ai tempi di Giorgio Bassani (1916-2000).

Nella città emiliana, infatti, la guerra è entrata irrompendo brutalmente, tra agguati e carcerazioni. Non ha sconfitto però l'essenza del termine 'giardino', con il suo valore botanico surclassato dalla valenza allegorico-letteraria, sublimata nell'opera bassaniana che ha edificato neorealisticamente un microcosmo inizialmente salvo dal delirio nazifascista, poi corroso lentamente dagli influssi malefici provenienti da fuori. Il male incurabile di Alberto Finzi-Contini ne è manifestazione tangibile, una sineddoche clinica di una fine segnata dalla deportazione imminente, inevitabile e inaccettabile che coinvolgerà tutta la famiglia.
Se i rumori dell'eccidio di una lunga notte del '43 hanno lasciato strascichi pesanti devastando ineluttabilmente la Ferrara guerresca, la delicatezza dei fiori e degli arbusti nella proprietà dei Finzi-Contini ha il potere di smussare la violenza, rigettata dall'abbaiare del cane e dai rumori famigliari delle racchette nel campo da tennis. Ai tempi del secondo conflitto mondiale l'unico modo per onorare lo sport preferito rimasto a Bassani, escluso per le leggi razziali dal "suo" club "Marfisa d'Este" nel quale aveva vinto anche più di qualche torneo, rimaneva quello di fare da spettatore attivo ma nascosto alla compagnia allegra e un pò inconsapevole, simpaticamente ingenua, di Micòl e Alberto.
La "magna domus" lascia escluso, davanti al cancello, il terrore per far entrare un amore non corrisposto, dei progetti di studio e di laurea, i ricordi nostalgici di un tempo che fu e la solitudine di un autore che riversa nei suoi personaggi la sua intimità, la sua personalità e la sua cultura. In tutta la narrativa del cantore ferrarese c'è l'ombra rassicurante di uno scrittore onnipresente che scruta le sue creazioni da dietro l'angolo di Largo Castello, e fa conoscere le mille sfaccettature della propria sensibilità tramite personaggi ogni volta diversi ma accomunati da una identità nuvolosa, ossimorica, circoscritta all'intellettualità ma priva di riscontri onomastici. "Io" diventa l'amico più credibile del lettore, che partecipa umanisticamente alle vicende di una Ferrara centellinata, descritta toponomasticamente strada per strada, raccontata a tinte accese in tutta la sua variegata storicità. Il dottor Athos Fadigati, passeggiando per le strade cittadine, è seguito dai pregiudizi e appesantito dal fardello di una relazione a senso unico, troppo squilibrata per essere vera. Nonostante il suo dissidio crescente, che lo porterà ad essere un fenomeno di conversazione per la propria dibattuta e sdoganata omosessualità, trova conforto nell'ombrosa figura di un ragazzo ebreo, che carpisce l'onestà e la difficoltà di un professionista screditato dal provincialismo più becero e ignorante. Gli occhiali d'oro sono lo specchio di un'anima altrettanto aurea, pura ma fragile, che non regge l'onda d'urto degli attacchi per abbracciare un'altra onda, quella del fiume in cui perderà la vita. Anche il medico forestiero, però, è in un certo qual modo salvato da quell'autore implicito e riservato, che lo osserva senza giudicare ma apprezzandone le doti umane e lavorative.
Quella di Giorgio Bassani è una presenza unica nel rapporto trivalente tra narratore, lettore e personaggio. La sfumata identificazione tra l'io narrante e lo scrittore rende irraggiungibile la meta o soluzione, lasciando però ampi risvolti critico-riflessivi. Si potrebbe affermare che in ogni attimo, dialogo o azione dei suoi romanzi, Bassani se ne stia quieto, "dietro la porta", ad osservare sornione come un regista di successo che approvi in silenzio le gesta inscenate con naturalezza dai propri attori-personaggi. Così, da via Garibaldi a via Vignatagliata, passando per le peregrinazioni peninsulari del professore che difende la cultura e che acquista fama e credibilità per la sua alta statura intellettuale, un'ombra solida striglia, accompagna e assiste ogni momento letterario, ogni pagina, approfittando della vita per cercare di metterne per iscritto le eventualità più diversificate. Dalle pagine de "L'airone", vincitore del Premio Campiello nel 1969 e pubblicato l'anno precedente, arriva invece la manifesta "descrizione di un viaggio verso la morte", in un parallelismo ideale con le altre opere dove l'associazione esistenza/trapasso risulta sempre molto incombente. Il malessere e l'insoddisfazione di Edgardo Limentani, l'estrema solitudine di Athos Fadigati, gli insegnamenti di Clelia Trotti e la sconsolatezza di Lida Mantovani sono solo alcuni dei tratti dipinti da Giorgio Bassani, conscio che per disegnare bene "bisogna essere cattivi e smontare i pensieri", deus ex machina di una letteratura forte e viva, cinematografica e rigorosamente ferrarese, impregnata dell'orgoglio di uno scrittore e poeta che condivideva il banco a scuola con Lanfranco Caretti e ha saputo affermarsi in un panorama intellettuale ricco, denso e stimolante come quello del Novecento italiano. La casa di via Cisterna del Follo, a Ferrara, ormai non è più di proprietà della famiglia dell'autore legato anagraficamente a Bologna : lì, però, si aprì alla poesia e all'impegno civile - come ricorda un'epigrafe apposta dal Comune di Ferrara - con una "Italia da salvare" affinchè l'uomo resti uomo; e proprio da lì, a due passi dal centro storico ferrarese, è cominciata una storia che ha attraversato tutti i vicoli della città per travalicare i confini dell'Emilia e dell'Italia stessa, mai frenata nemmeno dalle aspre critiche del Gruppo 63. Nel cimitero ebraico inquietante e fosco, ai margini della città e in un "sovrumano silenzio", riposa oggi colui che plasmò le rose e i pioppi del "Giardino dei Finzi-Contini", continuando a dialogare con i lettori che si approcciano ai suoi testi, iniziando un percorso tematico in salita ma allo stesso tempo rasserenante per la costante presenza - discreta - di un autore che prosegue il suo cammino da "nemico assediato" per una "strada irta di sassi" di cui "siamo tutti viaggiatori". 

Rocco Della Corte




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