Gv. 10, 27-30
TESTO
In quel tempo, Gesù disse: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola”.
COMMENTO
“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono…”.
L’essere “pecora” secondo l’opinione comune non è davvero cosa buona per cui viene spontaneo prendere le distanze da un giudizio del genere, perché nessuno mai vuole apparire stupido, privo di personalità e votato a umilianti sottomissioni.
Le “pecore” di cui parla Gesù sono altra cosa, esse godono di alta personalità, insieme fanno ovile, famiglia, comunità e non massa, esercito o manipolo.
Le differenze sono molte ed essenziali tra le due realtà: dell’ovile il responsabile è il pastore, della famiglia i custodi sono mamma e papà e della comunità i ministri (servitori) sono i presbiteri, intesi naturalmente in senso laico. Le masse, al contrario, vengono gestite dai fanfaroni, gli eserciti sono comandati dai generali e i manipoli sono l’immagine esuberante del potere che li organizza.
Volendo collocare la “Chiesa” nello schema tracciato, appare scontato doverla pensare alla sequela di un Pastore, tra le braccia di un Padre (o Madre) e servita da tanti “santi mercenari”. Mai confonderò la Chiesa con le folle che si lasciano indottrinare supinamente; né della Chiesa farò mai un esercito armato contro il nemico. Le lotte intestine sono frutto di gelosie e di invidie, le “guerre sante” sono la prepotenza che si serve di Dio per delimitare l’ambito del potere anche “temporale” che si vuole esercitare.
La pecora DOC è quella che ascolta la voce del Pastore, distinguendola tra mille altre; Le “pecore” che seguono Gesù sono intelligenti, si spera, perché, fedeli al Vangelo e dell’ubbidienza fanno una questione soprattutto di coscienza.
“Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano.”.
Rassicurante come non mai appare il testo del vangelo e, alle generazioni che fanno storia al presente, fa bene riconoscere nel cristianesimo la fonte di una forza interiore che per agire non ha bisogno delle minacce e del terrore.
Troppo “diavolo” c’è nella predicazione d’oggi, a troppi demoni si dà la prerogativa di possedere anime stranamente abbandonate da Dio, troppo “terrorismo” si semina nel campo già tanto agitato delle umane vicende…
“Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio.”.
Ora sappiamo in modo ufficiale che alla misericordia di Dio nessuno può impedire di salvare le anime dei non battezzati, tanto che decade finalmente l’invenzione ingenua del “limbo”. E’ probabile che nel tempo le nuove teologie ridimensioni anche l’inferno, se la fede ci aiuterà a tenere stretta la mano di Gesù e la Chiesa ci rassicurerà sulla fedeltà e sull’amore eterno del Padre.
Perché non parlare più volentieri del bene che esiste nel mondo, anziché stare lì a intristirci e a intristire il prossimo con le malefatte che appaiono senz’altro eccessive, ma solo perché è eccessiva anche la considerazione che se ne fa?
Da una certa predicazione sembra che Gesù sia venuto inutilmente sulla terra, se, come affermano con virulenza, le povere creature a lui affidate continuano a essere sballottate dal maligno.
Care pecore, facciamoci forza!… La mano di Gesù che ci conduce, è la stessa del Padre che ci sostiene. Io non ho alcuna voglia di mollarla. E voi?