Gli ultimi temporali estivi che hanno provocato esondazioni e allagamenti in tutta la penisola sono da giorni oggetto delle pagine di cronaca e di foto che immortalano scene che ormai, purtroppo, sono diventate molto familiari.
Eppure il nostro territorio custodisce delle opere idrauliche molto antiche, risalenti a più di due millenni fa, appositamente congegnate per la regimazione delle acque e per la bonifica dei suoli. Ci siamo già occupati- in un recente articolo di Velletri Life- di narrare le meraviglie che nasconde l’emissario di Nemi, ma resta ancora da esplorare una struttura quasi gemella collocata nelle vicinanze e maggiormente immersa nel mistero.
Nessuno sospetterebbe che ad Albano giace uno dei reperti più arcaici dell’opera cunicolare romana, secondo solo alla edificazione della Cloaca Massima e che ha modelli di confronto, all’interno del mondo classico, solo con l’emissario di Nemi e con l’acquedotto di Eupalinos a Samo. Si tratta dell’emissario artificiale del lago di Albano, chiamato anche di Castel Gandolfo, che si distingue nell’area dei Colli Albani per essere la più nota e unica struttura di questo calibro a essere citata dalle fonti storiche.
Da queste testimonianze emerge come una profezia dell’oracolo di Delfi sia all’origine della costruzione dell’emissario: il grande annalista Tito Livio narra che la vittoria dei Romani contro l’etrusca Veio sarebbe stata possibile solo se le acque del lago fossero state incanalate e utilizzate per irrigare i campi. Così in un solo anno, sempre secondo la tradizione, l’emissario venne scavato interamente nella roccia mediante la creazione 62 pozzi distanti 30 metri tra loro, in ognuno dei quali le coppie di operai che vi lavoravano erano sostituite ogni sei ore, per abbreviare i tempi di compimento di un’opera pubblica. Fatto questo che già di per sé farebbe notizia, se non risalisse anche al IV secolo a. C.! Questa grande opera ingegneristica, costruita in epoca romana probabilmente su una struttura cunicolare del VI secolo, nel corso del tempo ha ispirato la penna di storici come Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso, che ce ne descrivono le modalità di costruzione, ha stimolato la fantasia di Piranesi, spinto a riprodurla fedelmente nelle sue incisioni, e in età contemporanea ha suscitato l’interesse degli studiosi, decisi a comprendere e penetrare le sue forme nascoste. Infatti la presenza di cospicui depositi concrezionali rende l'accesso dall'incile percorribile solo con l’ausilio di tecniche speleo-subacquee. Tuttavia, nonostante la percorrenza dello speco sia completamente allagata, la ricerca non si è fermata alle prime difficoltà e nel 2013 è stato avviato il “Progetto Albanus”, condotto dai tecnici e ricercatori della Federazione Hypogea con l’obiettivo di esplorare, studiare e documentare l’antico emissario in memoria del Prof. Vittorio Castellani, illustre accademico e speleologo che a lungo si dedicò al suo studio. Grazie al progetto, che terminerà il prossimo anno, questa galleria lunga più di 1,4 km che dal lago di Albano porta a località le Mole ha finalmente avuto l’attenzione che merita e ciascuna prossima immersione sarà decisiva per verificare lo stato dell’opera, per effettuare i rilievi topografici e valutare infine degli interventi che salvaguardino il sito nella prospettiva di una sua valorizzazione. Un tempo, nel punto in cui sboccava l’emissario,
l’acqua dell’emissario alimentava le vasche della piazza di Le Mole dove le donne di altri tempi si recavano a lavare i panni. Nel Medioevo vi sorse anche un piccolo borgo costituito da fontanili, canali, chiuse e mulini, con al centro una torre, ancora visibile. Ai giorni d’oggi qui si svolgono rievocazioni storiche annuali con lavandaie in costume e l’acqua che ancora esce dall’emissario è stata incanalata verso il fosso. Viste le buone premesse speriamo soltanto che molto presto il mormorio dell’acqua limpida torni a riempire l’incile e che sia possibile svelare e accedere ai segreti di questa struttura così antica che ha da poco ripreso a vivere.
Da queste testimonianze emerge come una profezia dell’oracolo di Delfi sia all’origine della costruzione dell’emissario: il grande annalista Tito Livio narra che la vittoria dei Romani contro l’etrusca Veio sarebbe stata possibile solo se le acque del lago fossero state incanalate e utilizzate per irrigare i campi. Così in un solo anno, sempre secondo la tradizione, l’emissario venne scavato interamente nella roccia mediante la creazione 62 pozzi distanti 30 metri tra loro, in ognuno dei quali le coppie di operai che vi lavoravano erano sostituite ogni sei ore, per abbreviare i tempi di compimento di un’opera pubblica. Fatto questo che già di per sé farebbe notizia, se non risalisse anche al IV secolo a. C.! Questa grande opera ingegneristica, costruita in epoca romana probabilmente su una struttura cunicolare del VI secolo, nel corso del tempo ha ispirato la penna di storici come Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso, che ce ne descrivono le modalità di costruzione, ha stimolato la fantasia di Piranesi, spinto a riprodurla fedelmente nelle sue incisioni, e in età contemporanea ha suscitato l’interesse degli studiosi, decisi a comprendere e penetrare le sue forme nascoste. Infatti la presenza di cospicui depositi concrezionali rende l'accesso dall'incile percorribile solo con l’ausilio di tecniche speleo-subacquee. Tuttavia, nonostante la percorrenza dello speco sia completamente allagata, la ricerca non si è fermata alle prime difficoltà e nel 2013 è stato avviato il “Progetto Albanus”, condotto dai tecnici e ricercatori della Federazione Hypogea con l’obiettivo di esplorare, studiare e documentare l’antico emissario in memoria del Prof. Vittorio Castellani, illustre accademico e speleologo che a lungo si dedicò al suo studio. Grazie al progetto, che terminerà il prossimo anno, questa galleria lunga più di 1,4 km che dal lago di Albano porta a località le Mole ha finalmente avuto l’attenzione che merita e ciascuna prossima immersione sarà decisiva per verificare lo stato dell’opera, per effettuare i rilievi topografici e valutare infine degli interventi che salvaguardino il sito nella prospettiva di una sua valorizzazione. Un tempo, nel punto in cui sboccava l’emissario,
l’acqua dell’emissario alimentava le vasche della piazza di Le Mole dove le donne di altri tempi si recavano a lavare i panni. Nel Medioevo vi sorse anche un piccolo borgo costituito da fontanili, canali, chiuse e mulini, con al centro una torre, ancora visibile. Ai giorni d’oggi qui si svolgono rievocazioni storiche annuali con lavandaie in costume e l’acqua che ancora esce dall’emissario è stata incanalata verso il fosso. Viste le buone premesse speriamo soltanto che molto presto il mormorio dell’acqua limpida torni a riempire l’incile e che sia possibile svelare e accedere ai segreti di questa struttura così antica che ha da poco ripreso a vivere.
Valentina Leone