Di Dougga è lo stupendo mosaico dei coppieri, quasi contemporaneo del nostro calendario: due robusti coppieri dai capelli ricci e con belle collane, con le anfore sulle spalle, vanno incontro a degli invitati e offrono loro del vino da assaggiare nei «pocula», mentre due servitori sopraggiungono per portare quello a sinistra un’anforetta con del profumo e una tovaglia, quello a destra un ramo di alloro e un cesto di fiori.
di Ciro Gravier
Gruppo Archeologico Veliterno - Quinta parte
Sull’anfora del servitore di destra, in luogo del «pittacium» (l’iscrizione indicante l’origine, il contenuto e il millesimo del contenuto) è scritto in greco «ΠΙΕ» (Bevi!), su quella del servitore di sinistra è scritto, sempre in greco, «ZHCHC» (Vivi!): magnifica accoglienza del ricco e colto padrone di casa ai suoi ospiti che si è mantenuta viva in Tunisia con lo «jus de bienvenue» e «l’eau d’oranger» offerti ai clienti negli alberghi e nei ristoranti di lusso. Il 1° di ottobre («ad Kalendas octobres») si celebrava il natalis di Alessandro Severo (è questo l’elemento, che non ammette dubbi, in base al quale è stata determinata la datazione del mosaico). La dinastia africana dei Severi era incominciata nel 195 con Settimio, che era un «eques» di Leptis Magna. Si trovava di stanza come comandante delle legioni a Carnuntum, nell’Austria attuale, quando – assassinato Pertinace – le truppe lo proclamarono imperatore. Ma altre truppe in altri tre punti dell’impero ne nominarono altri tre. Ne scaturì una guerra sanguinosa di tutti contro tutti che durò due anni, finchè Settimio non ebbe più rivali. Nonostante le sue indubbie capacità militari e politiche, il suo successo fu dovuto essenzialmente a sua moglie Iulia Domna, una siriana seguace del culto del dio solare El-Gabal, di cui il padre Giulio Bassiano era gran sacerdote. Da essa Severo ebbe due figli, Caracalla e Geta, che associò al governo e gli successero insieme nel regno, finchè Caracalla non sgozzò il fratello. Alla sua morte nel 211 le potenti donne della corte, in primis la sorella di Iulia Domna, Iulia Mesa, la cui figlia Iulia Soemias era madre di un giovane di nome Sesto Vario Avito Bassiano, riuscirono ad imporre come nuovo imperatore questo giovanetto, allora di 14 anni, che prese il nome del dio del sole e si chiamò Eliogabalo. Non era un nome usurpato poichè per diritto ereditario era il sommo sacerdote del dio del Sole. L’intervento delle donne risultò decisivo ancora una volta, quando i pretoriani assassinarono Eliogabalo e fu riconosciuto imperatore suo cugino Alessandro (figlio di Iulia Mamaea, sorella di Iulia Soemias, che, per suggerimento delle donne del clan, Eliogabalo aveva formalmente associato al potere). Considerata la sua giovanissima eà (aveva solo 13 anni), il potere effettivo fu esercitato dalle donne della famiglia (la nonna e la madre). Era stato Eliogabalo ad introdurre a Roma il culto del dio «Sol invictus» (traduzione latina del siriano Shams – شمس ) che si era presto diffuso in tutto l’impero, e specialmente in Africa, considerata la provenienza della dinastia. Insieme al culto imperiale in senso stretto, organizzato dai singoli municipia sotto il patronato del «concilium provinciae» e praticamente gestito in loco da specifici collegi sacerdotali (a Thysdrus era stato costruito ad hoc nella zona del Foro il Tempio del culto imperiale, con un vasto cortile che immetteva, attraverso un ingresso inquadrato da due colonne, in una grande aula absidata), il culto del Sole in Africa divenne così una forma di venerazione e di riconoscenza verso gli imperatori della dinastia dei Severi, i quali, in quanto africani, riservarono specifiche attenzioni alle loro province di origine, favorendone lo sviluppo e il benessere. Aveva iniziato Settimio riorganizzando amministrativamente la provincia, portando l’impero alla sua massima estensione nel settore, strutturandone il limes, in particolare prolungando la vecchia strada costiera Cartagine-Tacape (Gabes) fino a Leptis Magna, ed elevando Thysdrus a municipium. Poi Caracalla nel 212 aveva esteso la cittadinanza romana a tutti i liberi dovunque nell’Impero: gli Africani si erano trovati dalla sera alla mattina da semplici «provinciales» o «peregrini» quali erano sempre stati a «cives romani pleno iure» con tutti i diritti e le prerogative della prestigiosa cittadinanza. A Dougga Caracalla fa costruire il Tempio detto delle Vittorie (vale a dire le sue vittorie riportate contro i Britanni, i Parti e i Germani. Di questo tempio rimangono solo i tamburi della facciata, ma lo si è potuto identificare con certezza grazie alle iscrizioni. La dedica, datata 214, consacra il tempio alle Vittorie divinizzate per la salvezza di Caracalla e di sua madre Iulia Domna. L’iscizione ci informa anche che la costruzione del tempio, costata 100.000 sesterzi, è stata commissionata nel suo testamento da una matrona di Dougga, di nome Gabinia Hermiona, la quale, nello stesso testamento prevede anche un banchetto annuale offerto ai decurioni nel giorno anniversario della dedica del tempio; inoltre, Hermiona lascia «per il piacere del popolo» il terreno del circo. All’epoca di Alessandro Dougga gli eleva un magnifico Arco di Trionfo, mentre Thysdrus è in piena effervescenza perchè l’apprezzato ottantenne proconsole Gordiano vi sta facendo costruire il terzo e definitivo anfiteatro. Stavano così le cose quando giunse la notizia che Alessandro era stato ucciso e al suo posto regnava il barbaro Massimino il Trace. Era il 235. Il nuovo imperatore, che non mise mai piede a Roma, continuò a combattere contro i Germani una guerra infinita per la quale i soldi non bastavano mai. Approfittando di ciò, un oscuro funzionario del fisco del distretto di Cartagine, per ingraziarsi l’imperatore e conoscendo la grande ricchezza della provincia, sulla base di una sentenza comprata contro certi proprietari terrieri, impose una esorbitante pressione fiscale, che venne ad aggiungersi alla generalizzata politica terroristica del barbaro imperatore. Era troppo. I proprietari e i latifondisti si rivoltano. A Thysdrus scatenano per le strade bande armate e, ovviamente, paramilitari di «juvenes», per lo più clienti e figli di clienti, contadini e dei militari ribelli, i quali trucidano il procuratore e, sempre indirizzati dai loro mandanti, si recano alla residenza del vecchio proconsole Gordiano e lo proclamano imperatore. Alle sue titubanze, lo minacciano addirittura di morte. Tutto quello che ottenne, in ragione della sua avanzata età, fu di associare al trono suo figlio Gordiano II, e comunque di chiedere il consenso al Senato di Roma, cui inviò un dispaccio che diceva: « Contro la mia volontà, o senatori, i giovani a cui fu affidata l'Africa, mi hanno acclamato Imperator. Ma per rispetto a voi, sono disposto ad assumere questo importante compito volentieri. Spetta però a voi prendere una giusta decisione». Il Senato confermò la nomina, sicchè Massimino fu costretto ad incaricare il suo fedele Capellianus, governatore della Numidia, a sedare la rivolta. Gli eserciti si scontrarono sotto le mura di Cartagine, dove Gordiano II fu sconfitto e ucciso. Il vecchio padre si impiccò. Era il marzo del 238, e aveva regnato per soli venti giorni. Le truppe vincitrici, la Legio III Augusta, si vendicarono e misero a ferro e fuoco, oltre Cartagine, la città di Thysdrus, da dove era partito il movimento.