Il filo della vita scorre implacabile per tutti ed assume colori diversi. Essi rappresentano gli stati d’animo che ognuno nutre nel suo pensiero, nei battiti del cuore, nei ritmi più o meno accelerati del respiro. Ciascuno ha il suo filo e, con quelli degli altri intreccia tessuti, matasse, nodi, spesso inestricabili, qualche volta belli e colorati di fantasia.
Questo lavoro ha afferrato la treccia di fili che scorre a Velletri. Treccia che sa di terra, di vino, di danze e canti, di baruffe e di poesia. Un racconto di sofferenze, spesso sopportare con pazienza, spesso origine di liti e ribellioni, a volte cemento di amore profondo.
Su tutto questo intrecciarsi di eventi, per la maggior parte angosciosi, campeggia la fantasia creatrice dei personaggi.. Che è espressa nella lingua del paese. Lingua e non dialetto, scaturita da eventi antichi e da un ininterrotto scorrere di culture secolari. Lingua che sarà presentata soprattutto in forma poetica: dolce, allegra, ironica. Lingua che sottolineerà la violenza delle liti che i poveri portano al parossismo per una esigua striscia di terra. Lingua ancora che saprà descrivere la tenerezza generosa dell’amore materno e la ruvida voglia del padre, che vorrebbe vedere i figli crescere con un benessere che sembra solo ingannevole. Si tratta di situazioni varie dove con la danza della tradizione, come il saltarello, sembra come se si cercasse di scuotere via la fatica giornaliera, la terra che si è attaccata alle vesti e alla pelle, l’angoscia del domani intriso di povertà e di fame. Uno squarcio di vita del passato, dove il simbolo dominante è una capanna. Ci piove, ci si sta stretti, ma lì dentro c’è vita, passione, amore. E poi la speranza. Una casa vera. Di pietra, calce, tegole. Una speranza che a noi, abituati agli appartamenti, non svela più il senso del saper apprezzare quello che si vive. Una casa che nasce anche dalla violenta energia dell’abitante di Velletri che è capace di dire perfino al Creatore: “ Che me sì sputato?”