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Quaranta anni dalla legge 180: “La rivoluzione nella pancia di un Cavallo”, teatro e musica per Franco Basaglia

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«Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c'è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione». (Franco Basaglia).
A quarant’anni dall’approvazione della Legge 180/78, (nota come Legge Basaglia), si rende omaggio alla storia di uno psichiatra rivoluzionario che ha saputo restituire dignità agli emarginati e agli esclusi dalla società, i “matti”. La malattia mentale diviene formalmente e istituzionalmente un problema da valutare in un’ottica fenomenologica, mettendo così in discussione le certezze su cui si fondava la scienza psichiatrica fino ad allora. Lo spettacolo affronta la riflessione sul confine tra follia e normalità, sulle contraddizioni esistenziali, sul conflitto tra bisogni autentici e bisogni indotti che caratterizzano l’esistenza umana. Le storie, giocate tra il reale e l’immaginario, accompagnano lo spettatore dentro una dimensione frammentata e simil-dissociativa. In scena, una sola attrice rappresenta più ruoli, ognuno di essi impegnato nel far luce sulla nostra condizione di “servi volontari” ma, guardando da un’altra prospettiva, evidenziare le possibilità che ci offre la follia di tornare a interrogare le nostre certezze. La musica accompagna questo viaggio immaginario attraverso composizioni originali scritte per lo spettacolo, tranne qualche omaggio che lo spettatore potrà intuire e poi ritrovare tra le proprie memorie. Era il gennaio 1973 e Franco Basaglia per la prima volta apre e svuota il Padiglione “P” del manicomio di Trieste. Il padiglione diventa un laboratorio dove pittori, scultori, musicisti, attori, scrittori danno forma a un’esperienza estetica più folle della follia stessa. Centinaia di pazienti vengono invitati a scrivere, disegnare, raccontare, partecipare. Angelina Vitez, una donna ricoverata per chissà quale bizzarra ragione, disegna un cavallo. Nella pancia il cavallo nasconde i desideri dei ricoverati; tra questi l'orologio di Dino Tinta, che potendo uscire, voleva anche poter controllare l'ora di ritornare in manicomio. Dino ha imparato il modo in cui l’orologio resta fermo mentre lui si muove frenetico in un giorno lunghissimo nel quale non tramonta mai il sole; splende rosso rosso sopra la sua testa, mentre consuma le lettere che dicono il suo nome e quello di Dio, ringraziandolo perché gli si sta biforcando il pensiero, ma stavolta non per confonderlo, piuttosto per riscrivere i comandamenti della sua nuova vita. Era il 25 marzo del 1973 e quel disegno, quel sogno pieno di desideri, diventa realtà. Nasce così Marco Cavallo, una scultura di cartapesta azzurra, alta 4 metri, che esce dal manicomio sfondando i cancelli ed entrando di diritto nella città di Trieste, seguito da una processione di infermieri, medici, ricoverati, artisti. La dignità stava per tornare ad assumere un significato e la sofferenza mentale tornava finalmente a casa, nel luogo della domanda senza risposta, nella coscienza che raggiungi quando comprendi che il senso del legame è nascosto nella continuità tra il tuo dubbio e quello dell’altro. Il progetto è sostenuto dall’Associazione Psichiatria Democratica fondata nel 1973 dallo stesso Franco Basaglia, oltre che da Memoria ‘900 e dall’Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Velletri per la data zero prevista al Teatro Tognazzi di Velletri domenica 25 marzo 2018. Cast: Daniela Di Renzo (autrice e voce) Marica Roberto (i volti), Emiliano Begni (pianoforte e voce), Stefano Ciuffi (chitarra), Francesco Consaga (Sax soprano e Flauto traverso), Ermanno Dodaro (Contrabbasso), Sofia Bucci (Fotografia e collaborazione ai testi).



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