Nei primi giorni di gennaio l’iperistorico Paolo Mieli aveva invitato alla propria trasmissione a cavallo tra pranzo e pomeriggio il collega Franco Cardini, del quale, fino ad allora avevo una sincera stima. Il tema era il tribunale dell’Inquisizione.
di Pierluigi Starace
C’erano inoltre in studio tre giovani storici, due di sesso femminile ed uno maschile. Mentre venivano proiettati disegni o stampe d’epoca con uomini vestiti come burattini e dei cilindri forse di catone al busto ed agli arti, il conduttore stimolò Cardini, il cui viso abbronzato e ben nutrito occupò tutto lo schermo, ad intervenire. “Dobbiamo riportarci alla concezione giuridica del tempo, secondo la quale ciò che fosse stato rubricato come peccato secondo la legge divina, lo era in automatico per la legge del potere temporale. L’inquisitore era un personaggio in fondo debole, nelle mani di questo secondo potere. Era in fondo un tecnico che doveva certificare, davanti ad esso potere, la colpevolezza o l’innocenza dell’inquisito.”Quindi Cardini, con una lieve ma percettibile irritazione, che mi sorprese nella professionale serenità dello storico, ribadì che nel giudicare l’operato dell’Inquisizione bisognava tener conto che nei casi in cui la coinvolgeva, il potere politico aveva grandi interessi. Dopo questa arringa tutta difensiva feci fatica a non indagare se sotto la bella giacca lo storico celasse un saio domenicano.E poi a non distrarmi alla ricerca di qualche membro del clero celato in qualche angolo dello studio: come, pensavo, si parla d’Inquisizione e non s’invita l’ospite più importante? Il superconduttore a questo punto interpellò la triade giovanile per un giudizio per testa, o positivo o negativo, sull’Inquisizione. Una giovane Clio fu per il negativo. Il maschio le oppose un positivo. La terza , venendo meno alla regola del gioco, si espresse per un fifty-fifty, ma nessuno la riprese. Cerco di ordinare le mie reazioni a questo spettacolo. Non ho sentito nessuno ricordare, dal punto di vista laico, che l’Inquisizione snaturava il diritto romano, sostituendo alla sua presunzione d’innocenza quella di colpevolezza, ed alla sua concezione del crimine come atto fisicamente concreto di violenza quella di qualcosa di invisibile, annidata nell’anima dell’inquisito, la cui esistenza era totalmente affidata alla percezione di esso da parte dell’inquisitore: con una doppia, inverificabile altrimenti, possibilità d’errore, e , peggio, di falsificazione. Non ho sentito nessuno commentare le rivelatrici immagini degli eretici travestiti da pagliacci: trasformare in oggetto di sprezzo e ludibrio quegli uomini che si ergevano a testimoni del comunismo di Gesù o della verità della mente umana. Gli inquisitori sapevano bene che, più della demonizzazione, distrugge la ridicolizzazione. Se, per assurdo, la chiesa avesse voluto creare un pubblico accusatore, costui avrebbe dovuto incriminare feudatari insaziabili di territori e di potere armato, abati, e svelare i sofismi dei fabbricatori di dogmi, anziché “cercare dentro” ( questo vuol dire “inquisire”) l’anima di chi denuncia quel male, e vi si oppone. In questo atto osceno d’un uomo che fruga in un altro uomo per il di lui danno io vedo l’essenza dell’anticristianesimo. Quei “tecnici” per frugare bene avevano bisogno di strumenti per sostenere la propria “debolezza”: le tenaglie arroventate ed il cavalletto che slogava le giunture. Ma la cosa più grossa, che più mi ha fatto perder la stima per Cardini, è stata quella dei “grandi interessi” del potere politico. Come, l’organizzazione che aveva concepito, finanziato, per otto secoli l’Inquisizione, dalla quale erano stati forgiati, scelti, nominati, stipendiati, controllati i membri, non aveva interessi incalcolabilmente primari e maggiori di chiunque altro? E non era stata essa, con indefettibile accanimento, a costringere il potere temporale sotto la propria tirannia spirituale? Per concludere sulla “votazione finale” domando a Mieli, ed anche a Cardini: se il tema fosse stato la Shoah, o l’ISIS, o le BR sarebbe stato usato lo stesso metodo?