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Approccio giuridico all’ordinanza del Sindaco di Como: un contributo del professor Starace

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All’ondata di sdegno inscindibilmente religioso ed etico che è mi è prorotta alla notizia sull’ordinanza non umana del sindaco di Como, è successo un diverso stato d’animo, non dico rasserenato, ma favorevole alla riflessione, innanzi tutto giuridica.


di Pierluigi Starace

Che pongo in forma d’interrogazione,destinata a magistrati, giuristi, specie costituzionalisti, ed avvocati. Innanzi tutto, ma qui la domanda è solo retorica, ci vedo un abuso d’ufficio, incardinato, per di più, in uno scardinamento della Costituzione laddove recita, all’art. 38 “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento ed all’assistenza sociale”. In questo la situazione si capovolge: è il sindaco a delinquere, nel significato latino originario di “venir meno, lasciar correre” nella noncuranza dell’ accumularsi della miseria nel proprio territorio, o è il disgraziato costretto a stendere la mano per sopravvivere? O non lo sa il sindaco che c’è una ed una sola alternativa a quel gesto doloroso: quello di stendere la mano, ma per rubare? Non è mai riuscito ad immaginare che il famoso decoro urbano del quale s’atteggia a paladino consiste non nello spazzare sotto il tappeto le miserie,e, quando ne scappano fuori, spazzarle una seconda volta togliendo letteralmente via dalle strade i miserabili, ma in un’amministrazione la quale, mettendo come priorità assoluta l’aiuto sociale, liberi il territorio dalla miseria, e non dalle sue vittime?Non sa il sindaco che proprio nella sua Lombardia, per almeno un cinquantennio, lo stato sociale, affondando in un suolo fecondato da secoli dallo spirito ambrosiano, ha costruito un benessere diffuso dei più elevati del mondo? Ancora: il ficcare la mano in tasca al mendicante per fargli pagare la sua violazione dell’ordinanza, differisce in qualcosa dall’aggressione d’un branco di teppisti che perpetrano lo stesso atto? Non è eticamente più grave, perché infanga la rispettabilità della legge come copertura d’un un reato? In altre parole, quella multa può esser rubricata come estorsione, aggravata dallo stato di bisogno della vittima? Ancora vedo, nello spirito di questa ordinanza, un agghiacciante colpo d’ascia dividente, per le feste, e contrapponente la società in due : da un lato i superuomini che possiedono qualcosa con cui festeggiare, e che, in forza di questo, sarebbero investiti del diritto di eliminare qualunque cosa possa minimamente disturbare questo godimento; dall’altro i sottouomini che non possiedono qualcosa con cui festeggiare, e che, in forza di questo, sono privati anche del diritto di chiedere.In altre parole i primi sarebbero comunque innocenti anche esibendo la più sfrenata spreconaggine festaiola, i secondi comunque sempre delinquenti, perché per il dio mercato non aver soldi è il peccato imperdonabile, che l’ordinanza vendicatrice del sindaco sanziona nell’atto preciso con cui il sottouomo cerca d’affermare il proprio diritto alla vita. Non si profila una riduzione alla fame, con l’intreccio micidiale da un lato della multa che rappresenta un’uscita, e dall’altro del divieto, che impedisce un’entrata? Ciò premesso, non si configura un’agghiacciante eversione del principio dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge? E, passando al campo religioso, questo intenzionale e deliberato capovolgimento dello spirito natalizio, che da sempre , e tuttora, si esprime con una almeno “semel in anno” manifestazione benefica del ricco verso il povero, non si configura come un vilipendio dello spirito più profondo della religione cristiana? L’elencazione pignola dei luoghi, tutti di proprietà ecclesiastica, che il sindaco ordina inaccessibili a questuanti, non prevarica, se non altro, i diritti di proprietà e di gestione della diocesi? Non è, indirettamente, una sfida a ciò che preme più di tutto a Papa Francesco?

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