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L'intervento di Luca Pucci alla presentazione di Igor Baglioni su "Echidna e i suoi discendenti"

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I. Baglioni, Echidna e i suoi discendenti. Studio sulle entità mostruose della Teogonia esiodea, Roma 2017. 

di Luca Pucci
Università della Calabria

VELLETRI - "Vorrei iniziare questo breve intervento con un interrogativo, al quale spero di poter dare risposta nel corso del tempo concessomi: cosa significa leggere un libro, in particolare un saggio scientifico come il volume di I. Baglioni che oggi ci troviamo qui a presentare?
Quali vantaggi presenta una lettura del genere per un pubblico non necessariamente addentro ai meccanismi di funzionamento delle religioni antiche? Partiamo per un momento da lontano. Leggere un libro in generale, ad esempio un romanzo, significa di norma immergerci nel mondo che l’autore ha inteso descrivere, spesso inventare, in ogni caso mostrare al lettore, un mondo fatto di storie, orizzonti, emozioni, che riflettono in molti casi la prospettiva dell’autore stesso, il suo vissuto. Leggere un libro di questo genere, tra le molteplici cose, significa dunque guardare il mondo attraverso gli occhi dell’autore, ascoltarne le intenzioni, le emozioni e gli umori. Nel caso di un saggio scientifico, in particolare di un saggio di storia delle religioni come quello di Baglioni, leggere non significa tanto, o soltanto, cogliere le emozioni dell’autore rispetto ai personaggi e ai miti presentati, elementi che per altro trasudano appieno da ogni pagina del libro in questione; quanto immergerci, attraverso le parole dell’autore che è un mediatore, in una cultura differente dalla nostra, lontana nel tempo e nello spazio, a volte difficile da comprendere, in ogni caso arricchente e per così dire “maturante”. L’obiettivo è audace, perché l’autore mira a una ricostruzione quanto più possibile realistica e verisimile del passato; questa è operazione allo stesso tempo rischiosa, perché le fonti sono spesso frammentarie e le interpretazioni possibili, ma mai certe in assoluto; e infine, ma soprattutto, si tratta di un lavoro meritorio, perché il valore di un saggio scientifico non sta nella sua presunta perfezione e assoluta completezza, ma nel tentativo di ricostruire un tassello del passato, altrimenti irrimediabilmente perduto, con tutta la parzialità e discutibilità delle interpretazioni avanzate. Veniamo ora nello specifico al volume di Baglioni. Si tratta di un viaggio in una cultura specifica, quella greca di età arcaica (VII-VI sec. a.C.), di cui l’autore intende esaminare la sfera che noi oggi definiremmo religiosa, attraverso le figure di Echidna, “essere crudele e bellissimo al tempo stesso, metà donna e metà serpente” e dei suoi discendenti, quali ad esempio Cerbero, il cane guardiano dell’Inferno, o la Sfinge. Questo viaggio è condotto attraverso un testo guida, la “Teogonia” di Esiodo, poeta di Ascra in Beozia, che ha sistemato in maniera ordinata la storia mitica sulle origini degli dei e dell’universo. Per intenderci, se il Nuovo Testamento racconta ai Cristiani la storia di Gesù, il figlio di Dio, e intende così veicolare una serie di norme per il vivere individuale e sociale, Esiodo con la Teogonia ha voluto sistemare e trasmettere un sistema di credenze sugli dei e sulle loro prerogative. Il lettore del volume è condotto per mano in maniera ordinata, scrupolosa, lungo un percorso articolato che vuole ricostruire le caratteristiche, le funzioni e le rappresentazioni antiche dei personaggi su citati, cosa essi suscitassero e come essi potessero essere in qualche modo gestiti dall’essere umano. Nello scegliere come presentare questo volume, ho deciso di concentrarmi su tre aspetti in particolare, che non riguardano i contenuti in senso stretto, ovvero la storia o le caratteristiche degli esseri mostruosi, ma che riguardano i modi in cui possiamo avvicinarci alla cultura antica, ovvero come possiamo conoscere e apprezzare la religione greca, nelle sue molteplici manifestazioni, attraverso delle felici osservazioni e delle buone pratiche metodologiche messe in atto dall’autore. Partiamo da una questione di metodo. Nel primo capitolo del volume l’autore cerca di chiarire cosa si possa intendere per essere mostruoso in Grecia antica, a partire dai termini utilizzati in greco per identificare questi esseri. Baglioni sottolinea l’assenza in ambito greco antico di una tipologia di essere extra-umani che possa indicare in maniera complessiva e unificante la nostra categoria di ‘mostri’ e sottolinea un assunto valido in generale quando ci avviciniamo ad una cultura differente dalla nostra. Cito, con poca variazione, dall’opera: nell’analisi dei contesti culturali geograficamente e/o cronologicamente “altri” [scil. dal nostro], (…) gli “strumenti” di lettura del mondo propri dell’Occidente contemporaneo devono essere applicati criticamente nella consapevolezza dell’astrazione alla quale si sta procedendo e del fatto che gli stessi “strumenti” che si stanno utilizzando non sono degli universali atemporali, ma sono essi stessi dei concetti che hanno una storia e un’evoluzione nel tempo. L’autore intende avvisarci su un rischio frequente negli studi delle culture differenti dalla nostra, che è occidentale, eurocentrista, modernista, religiosamente, meglio cattolicamente determinata. Applicando i modelli interpretativi che usiamo oggigiorno nelle nostre vite rischiamo di fraintendere le altre culture e, cosa potenzialmente ancora più grave, di veicolare di queste culture delle immagini e dei messaggi che in realtà non appartengono loro. Un approccio di questo genere inoltre, oltre che fraintendere, svilisce e impoverisce il dato che stiamo analizzando, privandolo del proprio reale valore. Il messaggio dell’autore è sottile e provocatorio: non c’è gerarchia tra le culture del passato e del presente, non vi è l’opposizione tra un antico primitivo e un attuale progressista ed evoluto, come non c’è gerarchia tra le discipline che studiano il mondo antico. Da questo punto di vista l’autore ci offre un’opera a tutto tondo, basata non solo sulla filologia, ovvero sull’analisi dei testi scritti, ma anche sull’antropologia e la sociologia. Sono queste ultime discipline a mostrare che per avvicinarci alle culture diverse dalle nostre è necessario adottare prospettive emiche, cioè cercare di leggere i dati della cultura greca attraverso gli occhi di un greco. E il viaggio di Baglioni è per molti aspetti un’immersione nel mondo greco effettuata dall’esterno, da lontano, poiché a noi, ahimè, non è concessa la possibilità di vivere una giornata in Grecia antica. Un secondo merito del volume di Baglioni sta nel sapiente e calibrato uso della comparazione della cultura greca con altre antiche, un esercizio di difficile attuazione ma che, se ben praticato, consente di illustrare e far comprendere meglio un dato per noi altrimenti perduto o parziale. Parlando della cultura greca, ci troviamo difronte a un mondo per gran parte sommerso. In un saggio di qualche anno fa di introduzione alla storia greca L. Canfora paragonava la civiltà greca a un grande iceberg, di cui a noi è concesso vedere solo la punta. Con non poco rammarico lo studioso sottolineava l’impossibilità per noi moderni di cogliere appieno tutte le sfaccettature di una gara tragica ad Atene, di una gara atletica a Delfi o di un rito religioso in qualsiasi altra comunità; di recente il tema di ciò che è sommerso delle civiltà antiche è stato affrontato da più prospettive, tra cui anche quella comparativa. Uno dei risultati significativi di questi studi sta proprio nella presa di coscienza che una sana comparazione con culture etnografiche antiche e moderne meglio documentate non può che giovare alla comprensione del mondo greco oggetto di studio. Baglioni opera anche in questa direzione in maniera equilibrata e interessante, quando ad esempio tenta di qualificare gli esseri mostruosi da un punto di vista concettuale e, per sottrarsi a categorie interpretative moderne e fuorvianti, attinge alla cultura dell’India vedica e nella nomenclatura ivi utilizzata trova la prova alla parzialità, a tratti scorrettezza, della terminologia occidentale di mostro, moralmente qualificata in senso dispregiativo, per indicare gli esseri di cui l’autore parla. È anche attraverso la comparazione che si va delineando il concetto multiforme di essere mostruoso di cui l’autore tenta di dare una definizione altrettanto variegata e non astratta. In questo senso Baglioni cerca di inserirsi in un solco di studi di storia delle religioni internazionale, che annovera nomi come Brelich, Pettazzoni, Calame, Lincoln, Detienne, che apprezza il valore positivo della comparazione e ne fa uno strumento di ricerca arricchente. Un terzo merito del volume sta nella riflessione, sapiente e misurata, sui racconti mitici in Grecia antica. Innanzitutto l’autore non si ferma all’analisi delle sole figure di Echidna, dei suoi genitori e dei suoi discendenti, ma crea una fitta rete di richiami e legami con altre figure mitiche greche, inserendo gli esseri mostruosi di cui si occupa in un sistema religioso più ampio e articolato. Questo è quanto l’autore fa, ad esempio, quando parla dell’aspetto ofiomorfo di Echidna, il suo essere metà serpente. Per inquadrare e far comprendere questa qualità l’autore traccia un quadro articolato del termine échidna in ambito zoologico e la sua associazione ad altri personaggi del mito, come Clitemestra, la donna che uccide lo sposo Agamennone e viene a sua volta uccisa, per vendetta, dal figlio Oreste; oppure Antigone e Ismene, figlie di Edipo, che cercano di infrangere le regole di sepoltura imposte rispetto al traditore Polinice. La lettura dei racconti mitici che Baglioni offre non è interessante e utile solo per la varietà dei personaggi evocati e delle storie presentate, ma anche per la riflessione metodologica rispetto al funzionamento e alla funzione dei miti in Grecia antica. Raccontare le storie di Edipo, Oreste, Eracle ad esempio ad Atene non è pratica paragonabile in maniera assoluta al racconto di fiabe o favole di oggi, in cui la componente fantastica ha scollato le vicende raccontate dalla realtà materiale del narratore e dell’ascoltatore. In Grecia raccontare miti significava trasmettere, attraverso la voce di personaggi autorevoli come i cantori epici o i poeti tragici, storie che hanno fondato il reale, hanno contribuito a crearlo. Per un Greco Zeus risiede realmente sull’Olimpo, realmente ha adescato numerose mortali; veramente Edipo ha compiuto incesto e parricidio; Oreste ha concretamente contribuito a fondare il tribunale dell’Areopago, come Teseo ha sconfitto il Minotauro. Allo stesso modo oggi un cristiano crede a Mosè e alla consegna dei dieci comandamenti. Ovviamente ciò non toglie che, come oggi sono presenti laici ed agnostici, anche in Grecia antica fossero presenti i contestatori di turno, gli evemeristi ad esempio che tendono a razionalizzare l’evento mitico. In linea generale per i Greci i miti erano storie che raccontavano e spiegavano aspetti del reale concreto, la nascita di determinate istituzioni, di regole del comportamento civile ecc. Baglioni lo spiega chiaramente: “gli esseri mostruosi presenti nella tradizione greca svolgevano mitopoieticamente una funzionalità di fondazione del reale, sia dal punto di vista cosmologico che nelle regole del comportamento sociale”. Il contributo di Baglioni in questo senso è doppiamente meritorio, perché non solo conferma che i miti in Grecia antica sono racconti fondativi del reale, ma anche perché restituisce agli esseri mostruosi un ruolo e una posizione meno moralmente etichettata e più funzionalmente definitiva, per usare le parole dell’autore ‘contestualmente definita’. Mi avvio alla conclusione, ampliando l’interrogativo iniziale. Spero di aver illustrato, almeno in parte, cosa possa significare leggere un saggio scientifico. E credo di aver anche sottolineato perché, in particolare, è interessante leggere il volume di Baglioni. Se le ragioni appena indicate, di metodo e contenutistiche, non fossero sufficienti, mi permetto di aggiungerne altre due. Se leggere un libro significa destrutturare luoghi comuni, incrostati da secoli di preconcetti e pregiudizi, ben venga un volume che sappia decentrare l’attenzione e mostrare letture alternative, a volte meno moralmente determinate. In seconda battuta, se leggere un libro significa interrogarsi sulla realtà che viviamo e sulle sue strutture, è ben accetto quello che, partendo dall’antichità, sa offrire spunti di attualizzazione e di rilettura del reale. Il volume di Baglioni, rispetto al suo contenuto e al di là di singole questioni su cui si può avere opinione differente, assolve pienamente a questi scopi".

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