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Il dubbio atroce su Velletri: fa parte o no dei Castelli Romani?

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Alcune querelles sembrano essere quasi senza fine, prive di quella possibilità postulata in antichità già da Aristotele di dirimere la questione venendosi incontro, trovando il giusto mezzo. 


Una di esse riguarda proprio la città di Velletri, non sempre considerata come facente parte dei cosiddetti Castelli Romani e anzi esclusa, insieme a Lanuvio, dal novero dei Comuni afferenti alla zona dei Colli Albani. Eppure le premesse, prima che giungesse l’epoca medievale e il conseguente incastellamento, erano buone.

Velitrae era una delle città controllate dai Volsci, dai tempi mitici del re Anco Marzio ritenuta tanto autorevole da potere trattare alla pari con Roma e definita dallo storico Dionigi d’Alicarnasso ἐπιφανής (epiphanés), ovvero "illustre”. L’epoca romana ha segnato poi la sua consacrazione a luogo idillico dell’otium e ha sancito la sua elezione a sede delle ville rustiche dei più illustri cittadini romani, ancora vivi nella toponomastica del territorio. Questo, in breve sintesi, era il curriculum vitae con il quale la città si apprestava ad affrontare il periodo di crisi dell’Impero romano e la sua lenta ma progressiva dissoluzione. La mancanza di un forte potere centrale che attraesse le forze centrifughe provocò la diffrazione del potere stesso: non più un corpo solo di diverse membra ma ciascuno a sé, in difesa del proprio interesse.
L’area vulcanica dei Colli Albani, per la sua vicinanza all’antica capitale ormai in declino, fu interessata fortemente dal fenomeno dell’incastellamento e dalla costruzione da parte di alcune famiglie baronali romane di punti fortificati, che poi nel corso dell’età medievale presero la forma di solidi e strutturati castelli. Dalla loro fisionomia che si stagliava all’orizzonte, visibile a coloro che dal basso guardavano queste moli pesare sulle loro teste, ha avuto origine il toponimo con il quale ancora oggi quest’area è conosciuta. Velletri apparentemente sembra aver attraversato incolume il periodo di acerrima lotta tra i baroni romani inaspritasi a partire dal XII secolo, seppure dal X secolo è attestato anche per essa il principio del fenomeno dell’incastellamento. Tuttavia a contare per la sua sorte fu proprio la distanza e la sua posizione defilata, chiusa dall’abbraccio del Monte Artemisio. Chi percorre da Roma la via Appia, ad esempio, sa che nel suo percorso incontrerà di seguito Albano, Ariccia e Genzano, quasi senza soluzione di continuità, e che invece per raggiungere il polo urbano di Velletri occorrono dei chilometri in più, incardinati nei filari stretti delle curve della campagna veliterna. E infatti, al contrario degli altri Castelli, durante il Medioevo fu uno dei pochi liberi comuni del Lazio e dell’Italia centrale, in grado di mantenere la propria indipendenza e a conservare una propria vita cittadina mentre le zone circostanti erano dilaniate da lotte intestine.
Nella regione odierna Velletri conserva ancora il suo primato nei confronti degli altri Comuni dei Castelli Romani, in quanto a numero di abitanti e a estensione territoriale e, sebbene qualcuno ancora sia pronto a marginalizzare il suo ruolo di guida, negli anni vari riconoscimenti ufficiali hanno accompagnato la sua affermazione pubblica. Non ultima è giunta la proposta di rendere questa città il capoluogo di una provincia dei Castelli, secondo un progetto abbozzato e poi dimenticato. Oltre all’idea peregrina, rimasta allo stadio di crisalide, convince tuttavia l’idea di una città che, in nome della sua vocazione di solitaria e libera esistenza, se teoricamente non potrebbe fare parte dei Castelli Romani può divenirne un membro ad honorem in virtù della prassi storica, anche quella del passato prossimo.

Valentina Leone

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