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Velletri Archeologica: "L'Egitto di Augusto" a cura del Gruppo Archeologico Veliterno

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A Pozzuoli, ad esempio, si era stabilita una colonia di Nabatei di Petra, che offrirono in sacrificio al loro dio Dusares due cammelli, come ci testimonia un’epigrafe datata al secondo anno del regno di Haretat IV, ossia l’11 dopo Cristo – Augusto ancora regnante. 

di Ciro Gravier
Gruppo Archeologico Veliterno - Quarta e ultima parte

A cinque anni prima risale la vicenda di un liberto, di nome Lysas, di un imprenditore di Pozzuoli, P. Annio Plocamo. Il suo padrone, che era appaltatore (publicanus) delle tasse doganali (portorium) in Mar Rosso, lo inviò a Berenice (porto meridionale dell’Egitto) come suo rappresentante.
Egli invece si imbarcò e, secondo il racconto di Plinio, “circumnavigando l’Arabia, spinto dagli Aquiloni – ossia i monsoni – dopo quindici giorni approdò a Hippuros – cioè nello Sri-Lanka! - Ricevuto ospitalmente dal re, restò sul posto per sei mesi. Imparò la lingua, e interrogato parlò dei Romani e dell’imperatore”. Mostrò le monete romane che fecero un’enorme impressione per la loro esatta corrispondenza tra valore reale e valore nominale. In seguito, il re di laggiù inviò a sua volta un’ambasceria, che giunse a Roma all’epoca di Claudio, e fu stipulato un trattato commerciale fra i due stati che servì da modello per molti secoli successivi. Augusto, ad ogni buon conto, sentendosi in qualche modo responsabile dell’avventata spedizione, ma complessivamente soddisfatto, non rivolse nessun rimprovero allo sfortunato prefetto, e si limitò a sostituirlo con Publio Petronio. Approfittando dell’assenza di Elio Gallo, impegnato in Arabia, la fiera regina del regno di Meroe in Nubia (che allora era considerata Etiopia, attuale Sudan, circa 200 km a nord di Kartum) aveva invaso l’Egitto travolgendo una dopo l’altra le linee fortificate romane di Siene, di File e di Elefantina, portando distruzione e facendo moltissimi schiavi. La regina aveva perfino decapitato una statua bronzea di Augusto e se n’era portata la testa fatta collocare per terra all’ingresso del suo palazzo, in modo da poterla calpestare continuamente. Occorreva reagire, respingere l’invasione e lavare l’offesa. Il che fu fatto, dapprima saccheggiando la capitale nubiana e poi, due anni dopo, scendendo ancora più a sud fino a Nabata, all’altezza della quarta cataratta. Le ostilità cessarono quando la regina inviò ambasciatori incontro ad Augusto, che si trovava a Samo, concludendo un trattato di pace, che poi durò due secoli. Delle due operazioni, quella verso l’Arabia e questa della Nubia-Etiopia, sottacendo responsabilità e insuccessi e mettendo in luce solo i risultati positivi, Augusto si assunse pomposamente la paternità e scrisse nelle Res gestae: “Per mio comando e con il mio auspicio furono condotti due eserciti, quasi contemporaneamente, in Etiopia e nell'Arabia detta Felice, e grandissimi eserciti nemici di entrambi i popoli furono sterminati in battaglia e conquistate molte città. In Etiopia si arrivò fino alla città di Nabata di cui la più vicina è Meroe. In Arabia l'esercito avanzò fino nel territorio dei Sabei, raggiungendo la città di Mariba”. Publio Petronio tornò ai suoi impegni civili e curò la bonifica di molti canali di irrigazione, per consentire la ripresa dell’agricoltura egizia, così vitale per Roma. Dopo di lui, la cui prefettura pare sia terminata nell’anno 21, fino alla morte di Augusto (14 d.C.) ci furono non meno di altri otto prefetti, uno più anonimo e sconosciuto dell’altro. Ma questo è un buon segno: significa che l’Egitto visse un lungo periodo di pace e di sostanziale prosperità.

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