Per capire l’uomo, bisogna inquadrare il periodo storico. Stiamo parlando di oltre mezzo secolo fa.
di Sandro Bologna
VELLETRI - Io ero studente del nascente Istituto “Enrico Fermi” oggi “Giancarlo Vallauri”, allora comunemente conosciuto come “Istituto per l’Elettronica”. I quotidiani erano pieni di notizie sulla guerra del Vietnam, almeno fino al primo marzo 1968 quando con gli scontri di Valle Giulia i movimenti studenteschi conquistarono le prime pagine dei quotidiani e la guerra del Vietnam fu retrocessa nella pagine interne.
L’Italia stava vivendo una fase di profonda trasformazione sociale e tecnologica, si cominciava a parlare del “transistor” e del “computer”, era l’epoca del Maggiolino Volkswagen. J.R. Wilcock, in quanto ingegnere era fortemente attratto dall’innovazione tecnologica. Era un attento lettore della rivista “Scientific American” e un possessore del Maggiolino Volkswagen, che usava cambiare frequentemente per non dover ricorrere all’intervento dei meccanici. Posseggo ancora in archivio il numero di settembre 1966 della rivista “Scientific American”, completamente dedicato alle tecnologie emergenti di quella che oggi si chiama “Information Technology” e che all’epoca era semplicemente “computer”. Lo ebbi in regalo da lui, e da lì cominciai a capire la necessità di conoscere la lingua inglese per lavorare nel mondo della scienza.
L’Italia stava vivendo una fase di profonda trasformazione sociale e tecnologica, si cominciava a parlare del “transistor” e del “computer”, era l’epoca del Maggiolino Volkswagen. J.R. Wilcock, in quanto ingegnere era fortemente attratto dall’innovazione tecnologica. Era un attento lettore della rivista “Scientific American” e un possessore del Maggiolino Volkswagen, che usava cambiare frequentemente per non dover ricorrere all’intervento dei meccanici. Posseggo ancora in archivio il numero di settembre 1966 della rivista “Scientific American”, completamente dedicato alle tecnologie emergenti di quella che oggi si chiama “Information Technology” e che all’epoca era semplicemente “computer”. Lo ebbi in regalo da lui, e da lì cominciai a capire la necessità di conoscere la lingua inglese per lavorare nel mondo della scienza.
L’uomo J.R. Wilcock era profondamente attratto dal sapere scientifico, ricordava benissimo i metodi di risoluzione di integrali e derivate, conosceva il principio di indeterminazione di Heisenberg e il modello atomico di Bohr, la teoria del campo elettrico di Faraday e la teoria quantistica. Tutte queste sue conoscenze si trovano riflesse nelle sue opere, in particolare in una sua poesia della raccolta “La Parola Morte”, pubblicata da Giulio Einaudi nel 1968, di seguito riportata.
Un ampio vuoto curvo
di diametro infinito,
una sfera il cui centro
si trova in ogni punto,
percorsa da molecole
fatte di atomi vuoti
contenenti elettroni
i quali non si trovano
mai in un dato luogo.
Ciò gira e si dimena
nel nulla circolare
e tutto si interpenetra
nei millenni istantanei
slittando sulle linee
di forza immaginarie
senza mai uno scontro
né un’azione a distanza.
Uomo, di questo nulla
girevole sei fatto
che non conosce morte
perché è una salma vuota
di spazio inoccupato
come un mattino vasto
soltanto attraversato
da qualche uccello erratico.
Ma tu non lo vuoi credere,
raduni i tuoi protoni,
neutroni ed elettroni,
con quanti di energia
raccolti tra i livelli
di tutte le loro orbite,
e in supremo sforzo
li fai gridare “Esisto!”
Poi girando scompari.