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«Velletri type», un “marchio” diffuso nel mondo: la Pallade veliterna come promozione del territorio al di fuori dei confini?

Le copie del capolavoro di arte greca esplicitano, grazie alla terminologia specialistica, una parentela stretta con Velletri che può divenire principio di un ripensamento della valorizzazione del patrimonio culturale rinvenuto sul territorio della città castellana e conservato all’estero.

di Valentina Leone


VELLETRI - I musei accolgono ogni giorno i più disparati tipi di visitatori, degni di essere immortalati in una Enciclopedia tassonomica. Da una parte corrono lo svogliato trascinato da una guida turistica, lo scolaro in gita, il fotografo seriale che non guarda oltre il suo obiettivo. Dall’altra, invece, lo studente appassionato di arte si accartoccia in un angolo, intento a fissare sul foglio con il carboncino le linee sfuggenti di volti statuari, e si aggira pensieroso il visitatore puntiglioso che osserva e cerca di comprendere sempre cosa guarda, lasciando che l’oggetto artistico stesso comunichi la sua identità.
Questa specie rara di avidi lettori di didascalie, sottoposta al dileggio degli sfortunati amici accompagnatori per la propria lentezza, è gratificata dal dono dell’epifania, ovvero dal raggiungimento di un momento di coscienza in cui ogni connessione appare definita. Ciò accade a chi gira i musei europei e si imbatte più volte in pannelli informativi che legano l’iconografia di Atena con elmo ed egida alla città di Velletri. «Athena Velletri type» è, infatti, la dicitura usata a livello internazionale dagli studiosi per indicare una tipologia precisa di statue rappresentanti Atena, copie romane superstiti di un originale greco perduto in bronzo risalente al V secolo a. C. La fattura della statua è stata attribuita, ancora con qualche incertezza, allo scultore cretese Kresilas, autore nel 430 a. C. del busto di Pericle con elmo, conservato in copia al British Museum di Londra, affine alla statua di Minerva per la perfezione del volto ovale e per la composizione delle linee formate dalle sopracciglia, dagli occhi, dal naso. La colossale statua della Pallade lasciava cadere sulle forme morbide dei fianchi il lungo chitone, in parte ricoperto dal drappeggio del mantello, con il peso del corpo scaricato sul piede sinistro e la gamba destra piegata. Atena, donna dai tratti androgini, era rappresentata con una mano protesa verso lo spettatore e l’arto destro alzato a tenere una lancia, con una posa icastica che ispirerà secoli dopo la statua della Libertà ricordata, con orgoglio, nella targa che descrive il calco della Pallade veliterna nel Museo “Oreste Nardini”. Di questo maestoso archetipo sono state trovate numerose copie sparse nei territori di dominazione romana, alcune delle quali in un locale specializzato in riproduzioni di Baia; ma la più importante di esse, perché la prima ad essere ritrovata, è quella rinvenuta a Velletri da un contadino nel 1797, in un vigneto che si stendeva nei pressi dell’attuale via della Pallade. Mai sul terreno veliterno è esistito un connubio migliore tra la secolare coltura delle viti e la cultura nel suo senso proprio: emersa da un passato ormai remoto, la Pallade veliterna conservava tracce della colorazione originaria, un cinabro che tinge ancora parte dei capelli e la bocca. La statua, dopo una breve permanenza nel Palazzo Romani (l’allora Palazzo Toruzzi), fu sequestrata dai componenti del Direttorio, massimo organo del governo francese nell’ultimo periodo della rivoluzione, e portata a Roma, prima di essere dichiarata bottino di guerra dalle truppe borboniche ed essere trasferita nelle collezioni reali di Napoli. Con la ratifica del trattato di Firenze il 28 marzo 1798 l’opera, per volere espresso di Napoleone Bonaparte, fu ceduta alla Francia e venne collocata nel Museo del Louvre a Parigi a partire dal 1803, dove è tuttora visibile insieme a un altro capolavoro ritrovato a Velletri, l’Ermafrodito dormiente. La Pallade veliterna diede così il nome alle sue gemelle lontane identificate negli anni successivi, tutte uguali al principio e differenziate dal tempo che a ciascuna ha sottratto dei frammenti. Dalla vicina copia custodita nella Centrale Montemartini a Roma, di cui si è salvato solo l’enorme torso compensato da calchi della testa e delle braccia esemplati sulla statua veliterna, passando per il busto conservato all’Altes Museum di Berlino e alla Glyptothek di Monaco, fino a giungere oltreoceano alla copia conservata presso l’Università di Yale tutte le statue rappresentanti questo tipo specifico di Atena prendono il nome dalla Pallade veliterna e sono accompagnate da targhette che nominano espressamente la città di Velletri e la sua ubicazione. Nei musei d’Europa e del mondo, per chi è capace di leggere ed entrare in contatto con le opere d’arte, esiste un prodotto che reclama, almeno per quanto riguarda la provenienza, l’origine veliterna. Un vero e proprio marchio, il «Velletri type», più conosciuto fuori che in patria, dove una campagna di sensibilizzazione dei cittadini e un progetto di valorizzazione dei beni culturali veliterni, in situ e all’estero, potrebbe segnare un viraggio verso una politica di rilancio dei prodotti del territorio.




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