Un giorno un cittadino veliterno si impadronirà del mondo: la profezia è diventata realtà grazie al divo Augusto, princeps di un'età florida e felice sotto tutti i punti di vista, per Roma.
di Valentina Leone
VELLETRI - Il corpo sbilanciato e proteso verso il vuoto, quasi a seguire la proiezione dello sguardo pensieroso volto verso il profilo frastagliato dei monti Lepini. Queste sono le fattezze che lo scultore Giancarlo Soprano ha impresso nella statua bronzea, collocata a una delle estremità del Palazzo Comunale, che rappresenta Augusto seduto in una posizione eminente, sovrastante la campagna dove trascorse gli anni della formazione.
La nascita di Ottaviano, il 23 settembre del 63 a. C., era stata anticipata secondo Svetonio da prodigi che annunciavano in nuce la grandezza del pronipote di Giulio Cesare: «Dal tempo in cui un fulmine era caduto su una parte delle mura di Velitrae, era stato profetizzato che un giorno un cittadino di quella città si sarebbe impadronito del potere; per questo gli abitanti di Velitrae, fiduciosi nella promessa, e allora e in seguito combatterono spesso contro il popolo romano, fin quasi alla loro rovina. Ben più tardi apparve evidente che il prodigio aveva voluto fare riferimento alla potenza di Augusto»[1]. Il conflitto tra la città volsca e l’Urbe, al di là di quanto affermato dallo storico di età adrianea, si protrasse realmente anche sull’identificazione del luogo di nascita del princeps, dalla maggior parte delle fonti collocato alle pendici del Palatino, nella località detta ad capita bubula,
alla lettera “alle teste di bue”, e singolarmente da Svetonio a Velletri, in un passo delle sue biografie imperiali a lungo interpretato in modo campanilistico. Ridotta a credenza dei veliterni del suo tempo, infatti, è l’opinione veicolata dall’opera svetoniana sulla supposta natività del futuro Augusto a Velletri: «Ancora oggi si indica la casa dove fu allevato in una zona suburbana di Velitrae, modesta e molto simile a una cucina; la gente del luogo è convinta che egli vi sia anche nato»[2]. Fondata in maniera inequivocabile è, al contrario, l’origine veliterna del ramo della gens Octavia da cui discendeva per parte di padre Ottaviano, risalente con buona approssimazione al III secolo a. C. e presente con costanza sul territorio per diversi secoli, come dimostra un’iscrizione del I secolo a. C. rinvenuta nel 1916 all’incrocio tra l’Appia Antica e via Lazzaria, sul tracciato dell’antica via Mactorina, che ricordava l’opera di evergetismo a favore della ristrutturazione dell’asse viario promossa da Lucius Octavius Onesimus, appartenente alla stessa gens augustea.
La villa degli Ottavi, sita in località San Cesareo presso Madonna degli Angeli, possiede anch’essa la fisionomia della verità storica, purtroppo oscurata dall’eccessiva occupazione, a uso abitativo e agricolo, del territorio. Al momento attuale rispetto alla situazione, compromessa ma non troppo degradata, che si presentava agli occhi vergini degli archeologi nei primi scavi compiuti nel 1909 e più diffusamente nel 1938, in occasione del bimillenario dalla nascita di Augusto, il sito si presenta snaturato, stravolto dall’attività edilizia e dalle viti che con le loro radici hanno estorto alle rovine il loro spazio vitale. Per ironia della sorte gli spazi chiusi delle case private e i vitigni si alternano sul luogo dove sorgeva la villa degli Ottavi, così come nell’antichità il nucleo abitativo si affacciava su un rigoglioso viridario, giardino adornato da sculture e fontane, contrapponendosi al portico che lo circondava e all’impianto termale.
Uno strano limite di invalicabilità, notato già da Svetonio che ricordava di una forza sconosciuta capace di trascinare all’esterno uno dei successivi abitanti della struttura, sembra proteggere questo luogo, rimasto rinchiuso nella sua paradossale essenza di sito archeologico comune sottratto alla fruizione collettiva per i ripetuti abusi. Unico spiraglio, almeno per onorare la memoria del giovane Ottaviano che proprio in questi locali pose le basi per divenire Augustus, sarebbe auspicare una ripresa delle indagini e un recupero delle strutture collocate sulla terrazza settentrionale, le uniche rimaste intatte, per consentire almeno un limitato percorso di visita culturale e turistica.