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Piazza San Martino è un museo a cielo aperto... ma in quanti lo sanno?

Una città come un museo all’aperto, tra rovine archeologiche e i segni di una storia più recente. Questa una delle possibili definizioni di Velletri (come suggerito da Marco Nocca), luogo da sempre al centro di una proficua sedimentazione del passato. 


L’incrocio sincronico di una diacronia temporale, dilatata sulla lunga durata, è in vista in uno dei luoghi di passaggio più comuni della città: Corso della Repubblica. A rendere possibile la simultaneità sono l’occhio di un estraneo, da pochi anni entrato a contatto con la realtà veliterna, e la passione di un amante della propria città. 

Poco distante dalla chiesa di san Martino, situata in un largo piazzale, si scorge infatti un cartello, uno dei tanti dispersi in città, che individua con la sua svettante autorevolezza la presenza di tre edifici di importanza storica. L’albergo della posta, attualmente sede della Polizia locale, espone nella sua compattezza architettonica sfigurata dagli anni il peso di un continuo ricambio di clienti ormai cessato. Esso fu istituito in occasione della riapertura del tratto della via Appia tra Roma e Napoli nel 1787, nei tempi in cui l’Italia cominciava a essere affollata da stranieri affascinati dal nostro paese, attirati da un viaggio di formazione culturale ed individuale poi denominato Grand Tour. La locanda, collocata in una posizione strategica, accoglieva avventori provenienti dalle due grandi città a nord e a sud, operando da raccordo tra i due punti cardinali di Velletri, rispettivamente evidenziati, già dal Cinquecento, da Porta Romana e Porta Napoletana che indicavano il doppio senso di percorrenza di cui si poteva fregiare la città castellana. Qui soggiornarono personalità importanti del tempo, come lo scrittore inglese Henry James, reso celebre dal Ritratto di signora, e lo scultore Antonio Canova che doveva sigillare nel bacio annunciato e sospeso tra Amore e Psiche il suo anelito verso l’eternità.
La chiesa di San Martino, invece, ha una storia tribolata, contrassegnata da una prima edificazione nell’XI secolo e da una nuova fondazione nel 1776. Anche questo edificio partecipa della stessa temperie evocata dall’Albergo della posta, richiamando nella facciata un fine Settecento insediato da echi neoclassici. All’interno l’edificio ecclesiastico conserva dei dettagli che rimandano alle precedenti fasi di costruzione della chiesa, testimoniate da un tabernacolo quattrocentesco e da un dipinto esposto nella sagrestia dedicato alla Madonna della Pace, risalente al 1308, unico superstite della decorazione che adornava la tribuna dell’antica chiesa medievale. Il palazzo Romani, che oggi ospita una sede dell’Università Pegaso, conclude il trittico. Le sue vestigia di palazzo nobiliare sono rimaste miracolosamente indenni ai bombardamenti del ’44, in confronto ad altri palazzi sventrati dalle bombe insieme alle case. Fu il nobile veliterno Nicola Toruzzi, ben prima che la famiglia Romani lo rilevasse, a costruire il palazzo nel XVI secolo.
Di questo personaggio, che combatté nel 1571 nella battaglia di Lepanto, si conserva a Velletri il monumento funebre presso la Cattedrale di San Clemente. Lo scorcio di una piazza è sufficiente ad aprire un varco temporale, utile a ricostruire per Velletri una topografia quanto mai attuale, costruita non solo su nomi, ma su uomini ed eventi che in qualche modo hanno segnato la città. Basta solo riportarne in evidenza la fisicità per individuare nelle facciate degli edifici e delle chiese di Velletri le teche di un museo sempre accessibile, a condizione dell’offerta della propria attenzione.

Valentina Leone

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