Benessere, produzione industriale, profitto: alcune delle parole chiave del boom economico degli anni '60 non sono proprio andate giù a Lucio Mastronardi, l'autore di Vigevano che dalla patria delle calzature ha lanciato un messaggio disperato e accorato riguardo quello che stava accadendo nella società italiana post-bellica.
In un clima di diffuso ottimismo l'alienazione di un autore è diventata il simbolo di un unicum letterario tutto ripiegato sull'interiorità, completamente sbalzata fuori dalla gamma di opzioni contemplate in una società ormai proiettata verso un'industrializzazione delirante.
E così le pagine strazianti e straniate, terribilmente realistiche, del maestro lombardo, sono passate alla storia per la loro incredibile saggezza di una visione ad ampio raggio, lungimirante ma allo stesso tempo capace di far rabbrividire per la carica profetica condensata nei romanzi della trilogia vigevanese. E' così che sotto il cielo del Ticino prendono forma le figure eroiche ma allo stesso tempo umane e sconfitte del maestro Mombelli, intento a portare a termine la sua missione, per cui l'insegnamento è una vocazione che svogliatamente tradisce per asservirsi alle logiche della società del danaro, prima di tornare tra i banchi di scuola ad insegnare la vita nell'autentico spirito dell'antico magister.
Di carattere litigioso e scostante, Lucio Mastronardi ebbe contatti con gli ambienti letterari del Novecento pur non avendo mai avuto quella cordialità diplomatica che si più si addice ad un personaggio pubblico. Scontroso, spigoloso, indisciplinato, ritrova entusiasmo e serenità solo nella narrativa mentre dentro di sé il naufragio lo pervade, il malessere esistenziale si fa spleen incontrollabile e insopportabile. "Il maestro di Vigevano", ritratto spietato e cinematografico della cittadina del pavese, viene definito da Italo Calvino come una visione nera ma contemporaneamente poetica della realtà locale, microcosmo specchio dell'epopea industriale italiana. I periodi di internamento hanno segnato ancor di più la vita di un autore incompreso, che dopo aver insultato un ferroviere passa due anni in istituto, dove può riflettere - protetto dalla "follia" - sulla potenza della sua volontà letteraria, del suo bisogno di narrare. Malinconico ma rabbioso, Mastronardi conosce anche le vie del carcere per una lite furibonda con il direttore scolastico. Mal sopportava le figure burocraticizzate e stereotipate al potere, completamente incapaci di valorizzare quello spirito puro e pensante che è dentro ogni uomo e che la società tendeva ad eliminare, per creare fabbriche ovunque. La difesa più appassionata è quella della scuola, istituzione da difendere con le unghie e con i denti, completamente amata e allo stesso tempo odiata dallo scrittore della città delle calzature, in un ossimorico rapporto che opponeva la possibilità di trasmettere una cultura abbinata a spirito critico e l'ennesimo caso di produzione derivato, quello di laureati ignoranti come materiali da mettere sul mercato. Nello strapotere del capitalismo e nell'avidità di denaro, Mastronardi lancia un grido di dolore tramite le parole del calzolaio Mario Sala - pubblicate la prima volta sul Menabò - sentite dallo stesso autore che scrive davvero le sue intime pulsioni
e le sue celate sensazioni ascrivendole a Micca. I dialoghi del "Calzolaio di Vigevano", in uno sperimentalismo linguistico dai toni dissacranti, sono freddi come raffreddati erano i rapporti in un contesto dominato dalla voglia di arricchirsi che differenzia il protagonista dalla sua umanistica speranza nel prossimo, seppur ormai ridotta ai minimi termini. Il riscatto nei personaggi di Mastronardi è sempre rigorosamente parziale, perchè come personaggi della tragedia classica sono funestati da una serie di eventi negativi (il maestro Mombelli perde la moglie, vede crollare il mito del figlio, scopre un tradimento) e il riscatto sta nella vittoria di Pirro della fiducia nelle proprie certezze messe però in discussione dal panorama sociale generale.
Mentre scrive "A casa tua ridono" (1971), il cuore di Mastronardi è già in lacrime: non sopporta l'arrivismo incombente, la voracità dilagante di una società che pensa esclusivamente al guadagno anche nei momenti più spensierati. Resta misteriosamente inedito l'ultimo manoscritto, di un altro romanzo, che Mastronardi citava in una lettera scritta alla Rizzoli poco prima della scomparsa. La sua passeggiata sul greto del Ticino, il 24 aprile 1979, diventa una sfida alla sua intera esistenza, un atto di accusa e di non resa verso un mondo divenuto ormai insopportabile. Alcuni testimoni riferiscono di aver visto il maestro di Vigevano passeggiare assorto, meditativo, vicino al fiume. Verrà ritrovato il suo corpo esanime il 29 aprile, riaffiorato dalle acque, in un epilogo tragico e amaro ma che porta ancora oggi l'eco del suo grido di dolore, di una vita che "si trascina di ventisette in ventisette".
Rocco Della Corte