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Un pomeriggio alle Stimmate: cronaca di una visita nel nuovo gioiello archeologico di Velletri

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Entrare nella struttura che protegge l’area archeologica delle Stimmate, inaugurata lo scorso 3 aprile in occasione della Festa delle camelie, equivale a varcare le soglie di un perimetro sacro. 


Proprio in questo luogo, in un arco cronologico molto ampio ma non quantificabile con esattezza per la sua estensione, ebbero sede importanti edifici religiosi del culto pagano, in seguito colonizzati dalla religione cristiana per affermare la propria sostituzione alle precedenti credenze.

La nuova copertura che preserva i reperti si va a inserire perfettamente nel processo di continua compenetrazione tra antico e moderno: laddove i resti del tempio cosiddetto “volsco” e di successivi rifacimenti erano stati inglobati dalla chiesa seicentesca di S. Maria della Neve, adesso una costruzione progettata in linea con i criteri di luminosità e di adattabilità al territorio conserva ciò che è rimasto di un passato che abbiamo il compito di preservare. Ed ecco allora le colonne della chiesa, sfuggite ai crolli che hanno interessato l’area, intrecciarsi solitarie con colonne
di recente fattura, in una visione prospettica straniante per l’occhio, che vede incrociarsi così tante stratigrafie temporali in un solo momento. Cominciando dallo stato poco precedente a quello attuale, alcune delle foto in bianco e nero esposte sui pannelli, che accompagnano l’intero percorso fornendo notizie chiare ed essenziali sul sito, ricordano lo stato dell’area, con i suoi preziosi lasciati scoperti, nudi contro la molestia degli agenti esogeni. I racconti di alcuni componenti del Gav (Gruppo archeologico veliterno) ricordano la situazione di venti anni fa, quando come giovani volontari si impegnavano a tenere pulire l’area infestata dalla presenza di erbacce, divenuta luogo di ritrovo serale di giovani alla ricerca di avventure. Dimenticate sulla sommità di un’altura, con vista a tutto tondo dalle campagne veliterne fino al promontorio del Circeo, e sovrastate dalla vegetazione, le Stimmate avevano già una volta rischiato l’estinzione per un folle progetto edilizio che prevedeva la costruzione di un albergo.
Salvato da una vera e propria barbarie, il complesso poteva di nuovo essere riconsegnato nelle mani amorevoli ed esperte degli archeologi, ripresi dopo anni gli scavi cominciati all’inizio del XX secolo che proseguivano il lavoro settecentesco di Stefano Borgia. La pianta della chiesa è ancora visibile nelle sue linee essenziali e a volte, nelle parti più recondite, spiccano alcuni stucchi miracolosamente salvatisi, che testimoniano la ricchezza ormai sfiorita dell’edificio. In mezzo ai ruderi più recenti si apre, però, lo spazio rituale dell’antico, andatosi ad insinuare nel cuore della navata centrale, dove per molto tempo non è stato possibile scavare a causa della presenza di tombe di frati risalenti al Settecento e Ottocento. Al di sotto, si nascondeva una cella ricca di materiale votivo, databile tra l’età del ferro e quella della media repubblica, che ha suscitato ultimamente molte ipotesi, dal momento che molti degli ex voto, ritrovati infranti, hanno fatto pensare all’obliterazione, ossia a una sorta di damnatio memoriae con annessa purificazione del luogo sacro: ancora prima che il ricordo del tempio pagano si estinguesse gli antichi stessi avevano provveduto a cancellarne quasi le tracce.
In questa parte centrale, nella zona circoscritta dalle due colonne della chiesa, si è deciso di lasciare una zona aperta a un futuro scavo, già parzialmente sondata e prolifica di un ritrovamento di dettagli scultorei molto raffinati che lasciano solo prefigurare cosa si possa trovare con studi sistematici. Per adesso questa area rimarrà come pegno, perché molti progressi sono stati fatti con l’avanzamento degli scavi, ma ancora rimangono oscure alcune circostanze dello sviluppo del santuario nei suoi vari momenti storici.
Le Stimmate offrono all’occhio molto da vedere, costituiscono una delle più manifeste dimostrazioni che a Velletri esistono luoghi dei quali vantarsi. Di più instillano nell’intelletto la voglia di andare oltre la superficie e scavare lì dove il terreno nasconde oggetti sacri e cela la via più breve per arrivare all’uomo.

Valentina Leone

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