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Museo delle Religioni, intervista ad Igor Baglioni: il "Raffaele Pettazzoni" da Velletri verso l'Europa

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È una delle realtà più attive culturalmente sul territorio veliterno, ma esce dalla città con convegni per tutti i Castelli Romani e per il coinvolgimento di docenti autorevoli di varie università. 

Il Museo delle Religioni “Raffaele Pettazzoni”, con sede a Velletri, è ormai un’istituzione importante e in crescita, grazie anche al costante lavoro del suo giovane e preparato direttore, il professor Igor Baglioni. Lo abbiamo intervistato per conoscere meglio questa splendida pagina della cultura veliterna. Ecco le sue risposte. 


Igor Baglioni, il Museo delle Religioni è ormai attivo da dieci anni. Facendo un salto a ritroso nel tempo, come nacque l’idea di fondare una simile istituzione a Velletri? 

L’idea venne alla luce casualmente nel 2004, mentre ero impegnato nell’organizzazione del mio primo convegno, dedicato all’opera scientifica dell’ultimo grande maestro della scuola romana di storia delle religioni, Dario Sabbatucci (cfr. Dario Sabbatucci e la storia delle Religioni, a cura di I. Baglioni - A. Cocozza, Bulzoni editore, Roma 2006). In quel periodo di tempo, si era avviato un vivace dibattito a Velletri riguardo il progetto promosso d’allora amministrazione di realizzare un parcheggio sul luogo dove sorge la “Casermaccia”, come è noto ex convento francescano divenuto caserma dei bersaglieri dopo l’unità d’Italia, purtroppo oggi in completa rovina, a seguito del suo abbandono come struttura funzionale. Edificio enorme, che, seppur disastrato, domina simbolicamente e di fatto la città con la sua mole. Il progetto di abbattere l’ex convento, uno dei pochi resti del passato comunale della città ancor oggi presente e visibile, aveva giustamente destato lo scandalo delle associazioni culturali locali nonché di semplici cittadini, me compreso. Caro Rocco, anche se purtroppo pochi abitanti di Velletri ne sono a conoscenza, devi tener presente che la maggior parte delle attività amministrative della Velletri comunale si tenevano in quel luogo, non nel palazzo comunale vero e proprio; lì, ad esempio, veniva conservato il “bussolo” dal quale erano estratti a sorte i maggiori magistrati della città, i Priori. Soprattutto, nella scuola teologica del convento si formarono personaggi importanti come Bonifacio VIII e Aldo Manuzio. Si tratta, insomma, di un luogo di notevole importanza storica, non solo locale. Nell’ambito delle attività previste in opposizione al progetto di abbattimento della “Casermaccia”, durante una conversazione informale, mi venne chiesto un parere in merito, e in particolare mi fu posta la questione relativa alla sua destinazione d’uso in vista di un progetto di riqualificazione da promuovere. Fu così che avanzai la proposta di destinare l’ex convento, una volta restaurato, a sede di un museo delle religioni intitolato al fondatore degli studi storico-religiosi in Italia, Raffaele Pettazzoni. Con mia stessa sorpresa, devo dire, la proposta fu accolta favorevolmente da molti attivisti. D’altronde non era peregrino pensare di realizzare una struttura di questo tipo a Velletri, città che aveva ospitato nel 1700 la collezione del cardinale Stefano Borgia. Come è noto, infatti, il Cardinale, come segretario di Propaganda Fide, ricevette e raccolse in un vero e proprio museo a Velletri reperti archeologici, manoscritti e tante altre opere di diverso tipo; tutto inviato dai missionari presenti nelle più svariate parti del mondo e con i quali era in contatto. Purtroppo, a seguito della morte del cardinale, la collezione si disperse in diversi musei. Elaborai quindi il primo progetto del Museo e, insieme ad altri attivisti, promossi il primo incontro ufficiale sul tema a Velletri. Questo fu l’inizio di un lungo percorso, ormai più che decennale, a volte direi decisamente avventuroso, che ha portato nel corso degli anni dapprima alla costituzione dell’Associazione Calliope, fondata con lo scopo principale di promuovere il progetto del Museo e la crescita culturale e sociale di Velletri, infine all’istituzione del Museo stesso nel 2009, dietro delibera unanime del Consiglio Comunale di Velletri. 

Cosa prevede esattamente il progetto museale da lei promosso? Quale pensa che sia il valore di un “museo delle religioni” in un’epoca storica dove si discute molto di temi religiosi e dove ci sono molti pregiudizi forse proprio per la mancanza di una cultura storica sulle religioni? 

Il Museo delle Religioni nasce dall’idea di creare non un mero contenitore di oggetti, ma un mezzo innovativo di trasmissione del sapere, basato sull’utilizzo critico e didattico delle immagini interattive e della realtà virtuale quali strumenti di divulgazione e coinvolgimento delle persone. Scopo dell’istituto è quello di fornire un contributo alla comprensione del complesso rapporto di comunicazione tra le culture nell’era della “globalizzazione” e di inserirsi attivamente, pertanto, nell’attuale dibattito, non solo specialistico, sui grandi temi legati ai conflitti e alle incomprensioni tra individui e tra nazioni che spesso hanno nelle religioni, o comunque in quei tratti tradizionali che noi occidentali recepiamo sotto la categoria del “religioso”, una parte importante delle loro radici. Nel concreto, il progetto museale si pone due obiettivi dal punto di vista della divulgazione culturale: il primo consiste nella volontà di rendere partecipe il pubblico non specialista che la conoscenza delle civiltà antiche – da cui deriva la nostra cultura occidentale contemporanea nelle sue differenti ma simili articolazioni – non deve essere vista come un mero bagaglio nozionistico di informazioni, ma come un’archeologia dell’Occidente, della nostra storia e del nostro modo di comprendere e valutare la realtà.
Lo studio critico delle culture antiche ci permette di vedere come le categorie con cui l’Occidente comprende il mondo non rappresentino dei valori assoluti, ma siano piuttosto l’esito di un percorso storico. Il primo passo per rapportarsi in maniera dialogica ad una realtà altra è rendersi conto che il modo in cui noi occidentali pensiamo il mondo non costituisce affatto l’unica modalità possibile di rappresentare la realtà; non è un valore assoluto, quello “giusto”, ma è il frutto della storia che l’Occidente ha alle proprie spalle, storia che per quanto riguarda soprattutto le culture antiche, è incentrata su quei valori che noi definiremmo religiosi. In quest’ottica, le altre culture esprimono una diversità che è l’esito di una storia diversa e che non può essere vista come inferiore o come sbagliata rispetto alla nostra. In sintesi, un’archeologia del nostro sapere, una relativizzazione della nostra storia, sono necessarie per confrontarsi con l’“altro”. Il secondo obiettivo è quello di poter rendere possibile l’approfondimento della conoscenza delle culture e delle religioni “viventi”, con le quali ormai siamo costantemente in un rapporto quotidiano. In questo momento storico è impossibile comprendere il mondo in cui viviamo e la storia in cui siamo inseriti senza conoscere le religioni più importanti. Ignorare le principali religioni “viventi” ci precluderebbe non solo la possibilità di comprendere le dinamiche storiche attuali, ma anche di relazionarci in maniera corretta con chi attualmente vive in Italia e proviene da mondi culturali e religiosi diversi dal nostro. Di questi tempi si parla molto di dialogo interculturale, ma il dialogo con l’“altro”, per essere produttivo ed efficace, deve essere fondato su una reale comprensione storica e non su banalità giornalistiche o su categorie funzionali a determinati progetti politici che, purtroppo, spesso impediscono di comprendere qual è la realtà con la quale dobbiamo relazionarci. Dal punto di vista tecnico, il Museo delle Religioni non è stato pensato come un museo nel senso convenzionale del termine, ovvero come un luogo di conservazione di beni culturali, in quanto l’articolarsi del suo sistema espositivo intende basarsi sulla creazione di grandi contesti tematici virtuali a carattere interattivo, in grado di coinvolgere fisicamente ed emotivamente il visitatore, rendendolo protagonista attivo del percorso espositivo, legando ad esempio l’apprendimento all’azione di gioco. I contesti tematici di volta in volta proposti durante il corso dell’anno si presenteranno come delle mostre a tema, dove sarà comunicato e reso fruibile, mediante l’utilizzo didattico e ludico delle immagini virtuali, il dibattito scientifico contemporaneo sull’argomento oggetto della mostra. Il Museo stesso, da questo punto di vista, si caratterizzerà per essere un centro autonomo di promozione della ricerca storico-religiosa e delle discipline affini, operando strettamente in rapporto con diverse università italiane e straniere, in primo luogo con la Sapienza Università di Roma, Tor Vergata, Roma Tre e il Consiglio Nazionale delle Ricerche, con i quali stiamo stringendo convenzioni che daranno un aspetto formale ad un rapporto di collaborazione di fatto già esistente. Saranno i risultati delle ricerche promosse dal Museo a fornire i dati per la creazione dei contesti tematici interattivi. Il Museo ospiterà nel suo complesso attività e sezioni della Sapienza Università di Roma e degli altri istituti sopra menzionati quali archivi, laboratori, master, scuole di specializzazione, ecc. La struttura si caratterizzerà anche per la presenza di una foresteria e di una biblioteca, il cui nucleo è costituito da diverse donazioni ricevute negli ultimi anni dal Comitato Promotore del Museo. Probabilmente avremo modo di acquisire via donazione anche opere d’arte che diano la possibilità preparare un allestimento espositivo più tradizionale. Ci sono delle disponibilità di massima sulle quali si potrebbe lavorare. 

Vi sono motivi particolari per l’intitolazione del museo ad un illustre storico delle religioni come Raffaele Pettazzoni? 

La prima cattedra di storia delle religioni in Italia è stata istituita alla Sapienza nel 1923 e affidata a Raffaele Pettazzoni. Pur se non sono mancate figure importanti di studiosi che in quel periodo o anche prima hanno ricoperto questo insegnamento in ambito accademico – penso ad esempio a Pestalozza – Pettazzoni è stato il primo docente di ruolo della disciplina, dopo che la cattedra venne formalmente istituita dal governo italiano. Pettazzoni può essere considerato il fondatore della scuola storico-religiosa italiana nelle varie correnti in cui essa si esprime, tutte riconducibili, pur nella diversità di approccio, al metodo “storico-comparato” inaugurato da Pettazzoni. Per questo motivo ho scelto di intitolare alla sua memoria il Museo, che vuole quindi essere anche un luogo nel quale gli studiosi afferenti alle diverse correnti della storia delle religioni italiana possano sentirsi a casa. 

 In che modo il Museo delle Religioni guarda all’Europa? Sono possibili sviluppi e scambi futuri con i paesi europei? 

Il Museo delle Religioni è già in rapporto da tempo con la comunità scientifica europea e internazionale. Gli Incontri sulle Religioni del Mediterraneo Antico, ad esempio, promossi dal Museo e giunti lo scorso anno alla V edizione, si sono caratterizzi per essere un trampolino di lancio e un palcoscenico con notevole visibilità internazionale non solo per giovani studiosi italiani. In questi anni, hanno partecipato alle iniziative promosse dal Museo studiosi afferenti a centri di ricerca e università di Atene, Chicago, Costanza, Cracovia, Ginevra, Heidelberg, Losanna, Madrid, Sofia, ecc. Abbiamo ospitato durante il loro periodo di ricerca in Italia studiosi brasiliani e spagnoli. Questo solo per fare degli esempi. Quello che rimane da fare è la formalizzazione dei rapporti che già intratteniamo, tramite la stipula di convezioni o di accordi specifici con altri centri di ricerca europei. L’idea è quella di creare delle summer school per studenti e dottorandi stranieri che, nel loro periodo di frequenza delle lezioni, possano non solo approfondire gli studi storico-religiosi con docenti di rilievo a livello internazionale, acquisire o migliorare la loro conoscenza della lingua italiana, ma soprattutto vivere una realtà che non è quella dei grandi centri come Roma, Milano, Firenze, ecc., che possono già sperimentare nei programmi Erasmus ad esempio, ma quella delle piccole o medie comunità, come quelle che costituiscono i comuni dei Castelli Romani, che possono offrire loro una visione “inedita” del nostro paese, suggestiva e piena di fascino come quella dei grandi centri, anche se in maniera diversa naturalmente. Soprattutto, credo che sia un’opportunità di “vivere” veramente l’Europa, dando la possibilità di conoscere con mano la vita quotidiana delle persone comuni e quelle particolarità locali così tipicamente italiane che ci portano nell’arco di 10 km ad imbatterci in dialetti, tradizioni, mentalità differenti. Cose che con rarità si sperimentano pienamente nei programmi Erasmus o negli altri tipi di esperienze usuali, che tendono per loro natura a privilegiare i grandi centri e determinati ambienti sociali, offrendo così uno spaccato parziale della realtà italiana. Allo stesso tempo, si tratta di un’opportunità di crescita culturale e sociale per luoghi che solo marginalmente sono coinvolti nei grandi flussi turistici e nella vivacità “cosmopolita” di città importanti come Roma, che non vivono quel “rapporto” quotidiano con l’Europa e il mondo internazionale che noi viviamo abitualmente, ad esempio, nel nostro ambiente accademico. Credo che questo possa contribuire nel piccolo, almeno in un determinato contesto locale, ad uscire da quella crisi che l’Europa, intesa come idea e fine, sta attraversando. Si tratta di poter far percepire in prima persona, nei rapporti umani quotidiani, a chi vive l’Europa come qualcosa di estraneo, lontano e troppo interessato solamente alle questioni economiche e monetarie, il suo senso originario e le sue potenzialità. 

Qual è la risposta della cittadinanza e della popolazione ai numerosi convegni che organizzate in giro per i Castelli e non solo? Direi che la risposta è complessivamente molto buona, considerando le tematiche specialistiche affrontate. Da questo punto di vista l’iniziativa che più mi ha dato soddisfazione è stato l’incontro “Fumetti, Satira, Religioni e Libertà d’Espressione” realizzato il 28 febbraio del 2015, come momento di riflessione a seguito della strage avvenuta alla redazione di “Charlie Hebdo”. La tavola rotonda di quel giorno ha visto una platea di più di un centinaio di persone presenti. Anche presso gli altri comuni dei Castelli Romani, le cose si sta svolgendo nei migliori dei modi. Le iniziative finora realizzate ad Ariccia, Castel Gandolfo, Genzano e Lanuvio
hanno avuto una buona partecipazione. Lanuvio poi è diventata quasi una “seconda casa” per il Museo. Se quindi il rapporto con la cittadinanza, le associazioni e i diversi musei del territorio è molto buono, non così purtroppo risulta essere con l’amministrazione di Velletri. A differenza delle altre istituzioni locali, che aderiscono alle nostre iniziative e le sostengono sempre con notevole entusiasmo, l’amministrazione del nostro comune, dopo l’istituzione del Museo nel 2009, si è sempre dimostrata implicitamente abbastanza “fredda” verso di esso, dando a volte l’impressione di vivere le nostre attività come una sorta di “evento fastidioso” che devono sopportare per cortesia istituzionale, ma che se potessero ne farebbero volentieri a meno. Un atteggiamento di “freddezza” che nel corso del tempo si è concretizzato in diversi “incidenti” e “incomprensioni”, a volte veramente spiacevoli. 

Che rapporto ha il Museo con le scuole superiori e con gli istituti di Velletri e dintorni? 

Il rapporto è buono, ma da coltivare maggiormente. Le iniziative realizzate in collaborazione o con la partecipazione delle scuole sono state poche anche se significative. Ho naturalmente dei progetti al riguardo e penso di potertene dar conto nei prossimi mesi. 

Qual è il sogno nel cassetto di Igor Baglioni per il Museo delle Religioni? 

Il mio sogno nel cassetto riguardo al Museo non consiste solo nel poter vedere portato a termine il percorso che ho incominciato più di 10 anni fa, contribuendo alla realizzazione completa del progetto museale, ma vedere l’istituto crescere fino a diventare fonte di richiamo e opportunità di lavoro verso tutti quei colleghi che hanno dovuto abbandonare l’Italia o il mondo della ricerca. Questo è ciò che spero e per questo ho lavorato instancabilmente in questi anni, rinunciando anche a molte gratificazioni personali e una vita più sicura e tranquilla dal punto di vista economico e affettivo.

Intervista a cura di Rocco Della Corte

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