L’autore di questo breve, ma densissimo libro è emigrato dalla Costa d’Avorio per venire in Italia a diciannove anni (ora ne ha trentotto), ha lavorato nelle condizioni indegne di tanti altri immigrati africani ma è riuscito ad uscirne, si è laureato in sociologia, ha ottenuto la cittadinanza italiana e oggi è un dirigente dell’USB (Unione Sindacale di Base).
di Irene Starace
Il libro parte dalla sua storia personale per parlare delle politiche razziste, poi delle lotte per la libertà delle persone immigrate, e infine del legame tra queste e le lotte dei lavoratori dei paesi occidentali. Nei capitoli 2 e 3, Fortezza Europa e La costruzione del nemico, le politiche razziste vengono spiegate ricorrendo ai concetti di “categorizzazione” e di “razzializzazione istituzionalizzata”. La “categorizzazione” crea una categoria di persone subalterne accentuando le loro differenze identitarie. Trasformate in “un corpo estraneo al tessuto sociale”, queste persone hanno poche possibilità di ottenere una vita normale o di vedere riconosciuti i propri talenti, e quando ci riescono si tratta di concessioni per cui sono tenute a ringraziare, non del riconoscimento di un diritto. Tutto questo è logorante sia per gli individui che per le comunità. La razzializzazione nasce ovviamente dal razzismo, i cui tre argomenti principali (tutti e tre pseudo-scientifici, ci ricorda l’autore) sono riassunti con chiarezza: “naturalismo razziale” (superiorità della razza bianca), “storicizzazione razziale” (superiorità della civiltà bianca) e “razzializzazione culturale” (l’impossibilità della convivenza tra persone di culture diverse). L’autore esamina anche le leggi italiane sull’immigrazione, che a partire dalla prima, la legge Martelli del 1990, si sono basate su tre paradigmi: l’invasione e l’emergenza (impedendo “una prospettiva sistemica e di lungo periodo”), l’utilitarismo economico (far entrare solo chi serve al mercato del lavoro) e la sicurezza (la delega delle questioni migratorie agli apparati della sicurezza porta a credere che ci sia un rapporto diretto tra immigrazione e pubblica sicurezza). A partire dalla legge Turco-Napolitano del 1998, si introduce un nuovo elemento di razzializzazione, cioè si comincia a dividere gli immigrati in “buoni” e “cattivi” a seconda di determinate caratteristiche: in questo caso, il possesso o no del permesso di soggiorno. Con la legge Minniti-Orlando del 2017, i “buoni” diventano i richiedenti asilo e i “cattivi” i cosiddetti “migranti economici”, e con il “decreto sicurezza” del 2018, il loro posto è preso, rispettivamente, dai rifugiati e dai richiedenti protezione internazionale. Tutte queste leggi fanno degli immigrati una categoria a parte, a cui si applicano leggi diverse rispetto ai cittadini italiani ed europei. Soumahoro dedica anche un paragrafo, Un nuovo modello di accoglienza, alla narrazione del suo primo incontro con Mimmo Lucano, in occasione di un dibattito sul tema organizzato dall’Associazione Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato. Parla della sua sorpresa nel sentire questo “signore molto disponibile” definire l’accoglienza in un modo mai sentito prima. Da allora sono diventati amici. Per lui, l’esperienza di Lucano è “una lungimirante sfida” alla razzializzazione “oramai inarrestabile”. Nel capitolo 4, In marcia per la libertà, Soumahoro racconta di un’esperienza di cui si è parlato poco: la marcia organizzata dalla Coalizione Internazionale dei Sans Papiers nel 2012, che ha attraversato l’Europa da Bruxelles a Strasburgo, per rivendicare il diritto alla libera circolazione di tutti. A questo proposito, “…laddove si decide di subordinare il diritto di circolazione ad altre esigenze, come quelle dei mercati, si trasforma la persona in un oggetto”. Il capitolo 5, La pacchia è finita, ricorda l’assassinio del sindacalista maliano Soumaila Sacko, la mobilitazione per rivelare la verità sulla dinamica dei fatti (la prefettura di Reggio Calabria aveva già dato per scontato che la vittima fosse stata sorpresa a rubare) e riportare in patria il suo corpo, e la storia delle baraccopoli, che risale a più di trent’anni fa. Il rifugiato sudafricano Jerry Masslo fu ucciso nel 1989 in circostanze molto simili, e fa riflettere che la legge Martelli sia stata approvata proprio poco dopo la sua morte. Il capitolo si chiude con le parole della madre di Soumaila Sacko: “Non fermatevi, non fermiamoci, perché vanno tutelati gli amici di Soumaila…perché le sue battaglie non muoiano con lui”. Il successivo, Chi comanda?, prende le mosse dalla morte di Paola Clemente, la bracciante morta di fatica nel 2015, per spiegare i problemi dei lavoratori e dei piccoli produttori agricoli, strangolati da leggi ingiuste di stampo capitalistico che tutelano i più ricchi. A questo proposito, il caporalato di cui si parla tanto è solo una parte del problema, e in gran parte è legale, dato che per definirlo correttamente si dovrebbero includere “tutte le forme di intermediazione che costringono il lavoratore alla precarietà”, come le agenzie che mandano lavoratori alle imprese. Parlare dei caporali come degli unici responsabili della vita miserabile dei braccianti (immigrati e non solo) è come parlare degli scafisti come degli unici colpevoli delle morti nel Mediterraneo: serve a distogliere l’attenzione dall’ingiustizia che sta a monte. Soumahoro avanza delle proposte per cambiare il sistema della produzione agricola: monitoraggio costante attraverso l’istituzione di un tavolo permanente interministeriale e interistituzionale, gestione pubblica e trasparente del sistema di reclutamento dei lavoratori e delle procedure di certificazione e controllo dei prodotti (che spesso vengono aggirate con la corruzione), introduzione di un meccanismo di “condizionalità nell’accesso agli aiuti” in cui si ponga come condizione il rispetto dei diritti dei lavoratori. Nell’ultimo capitolo, Una lezione per il presente, Soumahoro ricorda il sindacalista e antifascista Giuseppe Di Vittorio, un uomo di coerenza inflessibile e di grande sensibilità umana, come esempio da seguire. Di Vittorio non si occupava soltanto dei diritti dei lavoratori, ma si schierò anche contro le leggi razziali, ritenendo doveroso per la democrazia lottare contro tutte le discriminazioni. Allo stesso modo, oggi il sindacato deve schierarsi chiaramente in questo senso. Non solo, per poter essere efficace dev’essere mondiale, perché i diritti dei lavoratori sono negati in tutto il mondo e la dimensione del capitalismo è mondiale. Tutelare i diritti di lavoratori che si considerano persone, e non più oggetti come li vorrebbe il mercato, va oltre le rivendicazioni materiali per cercare la realizzazione della felicità, che si può ottenere soltanto insieme, cioè mai a spese di qualcun altro. Soumahoro ci ricorda chiaramente che la guerra tra poveri è inutile, perché lo sfruttamento e la precarietà riguardano ormai tutte le categorie di lavoratori, e che bisogna guardare oltre: oltre le frontiere e oltre la rivendicazione di un singolo diritto, per difendere e affermare l’umanità nella sua pienezza.