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"Orgoglio velletrano": da un'idea di Maria Paola De Marchis uno squarcio di vita del passato

È partito tutto da un’idea di Maria Paola De Marchis dopo aver letto il libro di Colombo Cafarotti “L’ultima capanna”, poi quella idea ha preso forma sostenuta da: Filippo Ferrara, Giorgio Manganello, Mario Lozzi, Patrizia Audino, Tonino Cicinelli e Ulderico Agostinelli. 


 Roberto Pennacchini infine l’ha realizzata con gli interpreti: Angelo Cavaterra, Antonella Fede, Enrico Cappelli, Federico Vitale, Lorenzo Vitale, Marco Tredici, Massimo Mattoccia, Paolo Acchioni, Sara Leoni, Tiziana Di Lazzaro che hanno usufruito della preziosa collaborazione di: Cristian Marsella, Giulio Montagna, Sandro Natalizi e Velester Folk.

Sul palco “uno squarcio di vita del passato, dove il simbolo dominante è una capanna. Ci piove, ci si sta stretti, ma lì dentro c’è vita, passione, amore” (parole di Mario Lozzi). E passione ed amore sono stati i sentimenti che hanno avvolto la platea e la galleria del Teatro Aurora (che gli organizzatori ringraziano infinitamente per l’aiuto decisivo) insieme alla consapevolezza che “per proiettarsi nel futuro questa città ha bisogno di ritrovare le proprie radici, la propria identità” (parole di Patriza Audino), partendo da due elementi imprescindibili del carattere dei propri abitati: orgoglio e testardaggine. Unica nota dolente le tantissime persone che non hanno trovato posto nel teatro (circa duecento), nonostante gli organizzatori abbiano tentato di riparare al disguido organizzativo del Comune di Velletri avvisando che non sarebbero stati in grado di ottemperare alla promessa contenuta negli inviti distribuiti in previsione della rappresentazione al Teatro Artemisio. Chi ha perso lo straordinario spettacolo messo in scena domenica 13 dicembre potrà recuperare chiedendo per tempo agli organizzatori i biglietti per la nuova rappresentazione che è stata fissata per domenica 31 gennaio 2016 al Teatro Artemisio. Infine alcune note sul libro “L’ultima capanna” prendendo in prestito le parole di Filippo Ferrara: “La mia presenza nel gruppo che ha lavorato all’allestimento della rappresentazione teatrale al teatro Artemisio, è dovuta ad un dovere e ad un desiderio: il dovere di accompagnare nel suo cammino il libro di Colombo Cafarotti “L’ultima capanna”, di cui mi sono occupato a lungo, incontrando spesso l’autore, realizzando con lui interviste e presentandolo poi al Comune d Velletri con la piena disponibilità del Sindaco Servadio che ha mostrato fin dall’inizio un vivo interesse per l’opera di Cafarotti. Il desiderio invece è in sostanza la speranza che il romanzo, attraverso la riduzione teatrale che ne è stata fatta, viva un altro momento di popolarità.
Va comunque precisato che il testo teatrale è stato liberamente tratto dal racconto anche se ispirato ad esso. L’ultima capanna è la storia drammatica degli anni del dopoguerra, quando Velletri appariva, a causa dei bombardamenti, un cumulo di macerie e sembrava impresa impossibile la sua ricostruzione. Nella campagna in quel momento cerano ancora un po’ dovunque tante capanne, segno evidente di miseria e arretratezza. Ma come per miracolo, in tempi brevi, le capanne una dopo l’altra scompaiono per gli effetti dello sviluppo economico che si fa sentire un po’ dovunque in Italia. Rimane, infine, in piedi una sola capanna, su cui si appunta l’interesse dello scrittore, con la famiglia che vi abita, povera ed alle prese con tante difficoltà, potendo disporre soltanto di un piccolo appezzamento di terra come sua unica risorsa. È una storia triste quella che racconta Cafarotti, in cui risaltano sacrifici e sofferenze ma anche sentimenti di solidarietà e d’intesa che tengono molto uniti i componenti della famiglia. Infine anche l’ultima capanna sparisce sostituita da un’abitazione in miniatura: è la fine dei disagi e dei sacrifici anche per questi ultimi ritardatari. Si può dire che il libro è uno spaccato della società contadina agli albori della rivoluzione industriale, che l’autore ha conosciuto, e la cui scomparsa ha lasciato in lui una malinconica nostalgia. Questo è uno degli elementi più vivi ed importanti del racconto che è stato recepito dal lavoro teatrale insieme a quello spirito definito velletranità che sta molto a cuore a Maria Paola De Marchis, che fortemente ha voluto questa rappresentazione teatrale fin dal momento che ha letto il libro, e a Roberto Pennacchini che con un lavoro sapiente l’ha realizzata”.

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