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Archeologia: "Le res gestae. Il bilancio" a cura del Gruppo Archeologico Veliterno

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Augusto esordisce con una frase brevissima, forse lungamente studiata e rigirata dicendo quello che fece quando aveva 19 anni: “A 19 anni, di mia iniziativa e a spese mie, misi insieme un esercito con il quale ridiedi la libertà alla Repubblica oppressa da faziosi”. 

di Ciro Oliviero Gravier
Gruppo Archeologico Veliterno
Stranissimo modo di indicare una data senza citare i nomi dei consoli - come poi farà, a partire dall’anno successivo in poi - ma indicando la sua età, quasi fosse l’inizio di un nuovo calendario. Il fatto è che i consoli di quell’anno (il 44 a.C.) erano Giulio Cesare (suo padre adottante, che fu assassinato) e Marco Antonio (suo acerrimo rivale fino alla fine). Ritenne preferibile quindi non nominare l’uno per non nominare l’altro. A 19 anni si era certo maggiorenni: la maggiore età si conseguiva con l’apparire dei segni della pubertà (per i maschi tra i 16 e i 17 anni) e veniva ufficializzata con la cerimonia del cambio dell’abito dinanzi al lararium familiare: il giovinetto deponeva la toga praetexta dai bordi rossi e la bulla (il ciondolo che aveva al collo dalla nascita) e indossava la toga virilis completamente bianca, dopo di che si organizzava un festoso corteo che accompagnava il giovane da casa al Foro e dal Foro al Campidoglio al tempio della Triade. A partire da quel giorno poteva cominciare il cursus honorum: almeno 10 anni di servizio militare, quindi a 30 anni ci si poteva candidare alla questura, a 36 anni alla carica di edile, a 39 anni alla pretura e, infine, a 42 anni, al consolato. Ma Augusto scavalcherà a pie’ pari tutto questo iter e, come dirà subito dopo, sarà console l’anno dopo: “… il popolo mi elesse console, essendo caduti in guerra entrambi i consoli”. Ripartiamo dall’inizio: “A 19 anni, di mia iniziativa e a spese mie, misi insieme un esercito …”: indubbiamente era un’azione massimamente illegale e incostituzionale (un privato cittadino che mette insieme un esercito pagato con soldi suoi), ma essa era giustificata – secondo lui – dal fatto di “restituire la libertà alla Repubblica oppressa da una fazione”. Non dice altro, per ora: ma si sa chi erano i faziosi: i faziosi erano i congiurati che avevano ucciso Cesare. Presentando così le cose a 58 anni dai fatti, solo quei pochissimi sopravvissuti che all’epoca avevano venti o trenta anni (ora quasi ottuagenari o nonagenari) potevano essere in grado – ammesso che avessero conservato buona memoria – di ricostituire i fatti nella loro esattezza reale e giuridica. Ma, come fu notato già allora, “quanti ne erano rimasti che avevano visto la Repubblica?” (Quotus quisque reliquus qui rem publicam vidisset? – Tacito, Ann., I, 3), e poi, si sa, la storia è scritta dai vincitori : anzi, in questo caso, dal vincitore. Augusto termina la prima parte del suo documento, addirittura rincarando la dose: “I miei figli, che la sorte mi strappò in giovane età, Gaio e Lucio Cesari, in mio onore il senato e il popolo romano designarono consoli all'età di quattordici anni … E il senato decretò che partecipassero ai pubblici dibattiti dal giorno in cui furono accompagnati nel Foro. Inoltre i cavalieri romani, all’unanimità, vollero che entrambi avessero il titolo di principi della juventus …”. Gaio e Lucio erano i figli di Giulia e di Agrippa: il nonno Augusto li adottò nel 17 a.C. perché gli succedessero. Ma morirono il primo a 24 anni e l’altro a 19. La loro designazione a consoli e poi a “principi della juventus” (la Juventus era un’istituzione destinata a preparare i giovani, mediante esercitazioni ed esercizi ginnastici, ad essere i futuri ufficiali delle legioni) fu formalmente deliberato dal Senato e dal Popolo Romano e dagli equites, ma ormai nulla facevano il Senato e il Popolo Romano e gli equites che non fosse per volontà di Augusto. Però, averli chiamati suoi figli in questo documento, risultava essere una sorta di poco larvato rammarico di essersi dovuto alla fine adattare all’adozione di Tiberio, figlio non suo o del suo sangue, ma di Livia, il quale da lì a poco gli sarebbe succeduto. Fra l’inizio e la fine della prima parte Augusto scorre, seguendo la cronologia, uno dopo l’altro, tutti gli incarichi, i titoli e gli onori ricevuti, dice lui, sempre legalmente, e arriva a dire, sconfessando se stesso: “non accettai alcuna magistratura conferitami contro il mos majorum… Fui triumviro per riordinare la Repubblica per dieci anni. Fui princeps senatus … per quaranta anni. Fui pontefice massimo, augure, quindecemviro, settemviro, fratello arvale, sodale, feziale” (ma il mos majorum non prevedeva che non si potesse essere consoli se non prima del 42° anno di età e non si potessero cumulare le cariche?) Ma, a parte il fatto di essere per quaranta anni presidente (princeps) del Senato (il che voleva dire essere l’unico competente a convocarlo, a stabilirne l’ordine del giorno e a presiederne le sedute), a parte il fatto di essere Pontefice Massimo (che era una carica a vita: Augusto aveva dovuto pazientemente aspettare la morte di Lepido, l’antico triumviro, per succedergli nel 12 a.C.), a parte tutti gli altri titoli e cariche, il colpo maestro era stato quello di farsi – sempre “legalmente” (senatus consulto), s’intende – assegnare a vita le due cariche di “tribuno della plebe” (con che la sua persona era sacra e inviolabile, e nel 14 d.C., egli lo era ininterrottamente da 37 anni, ossia dal lontano 23 a.C.) e quella dell’ “imperium proconsulare majus et infinitum” (generale supremo delle forze armate a vita) che deteneva da ancor prima (dal 27 a.C.). Ricorda poi i tre censimenti ordinati nel corso del suo lunghissimo governo. Censimento ha a che fare con censo, e quindi con tasse, ma lui la mette sul piano religioso della lustrazione del popolo. Inoltre il censimento era legato a censura e quindi a epurazione, che Augusto riconosce e si vanta di aver operato: “Tre volte ho epurato il Senato” (Senatum ter legi). Le competenze dei censori erano sostanzialmente tre: effettuare il censimento (a scadenza di norma quinquennale), vigilare sui costumi (il che voleva dire controllo sui comportamenti individuali, con annessa censura e degradazione) e stilare la lista dei candidabili al senato (lectio senatus). Augusto assunse la carica di censore e si servì ampiamente dei connessi poteri. I 600 senatori dell’ultimo periodo repubblicano, in assenza di controlli, erano diventati poco meno di 1000 quando lui salì al potere, e molti di essi gli erano ostili. Approfittò quindi del censimento per modificare in senso a lui favorevole la struttura e la composizione del Senato: 50 li convinse a dimettersi ed altri 240 li esautorò. In seguito, stabilì lui chi poteva accedere al senato e chi fosse da escludere. Quanto ai censimenti veri e propri, il primo, nel 28 a.C., intervenne dopo un intervallo di 42 anni: il precedente si era svolto, infatti, nel 70 a.C., ma le convulse vicende dell’agonia della Repubblica non ne avevano permesso l’indizione regolare di altri. Risultò che i cittadini romani erano quattro milioni e sessantatre mila. Al secondo censimento, dell’8 a.C., erano saliti a quattro milioni duecentotrentatre mila. Al terzo ed ultimo, quello stesso anno 14 d.C., erano diventati quattro milioni novecentotrentasette mila. S’intende che si contavano solo i maschi adulti che possedevano la cittadinanza romana: quindi, i numeri non corrispondevano per nulla alla popolazione residente nel territorio dello Stato. Per questo, bisognava aggiungere le donne, i minori, i liberti, gli stranieri e l’incalcolabile numero di schiavi. Basti pensare che, secondo calcoli di esperti storici e demografi, la popolazione della sola città di Roma all’epoca di Augusto si attestava intorno al milione di abitanti. Tuttavia, è innegabile che dal primo al terzo censimento augusteo, il numero dei soli cittadini romani era aumentato dell’81,70% (incremento calcolato del 2 per mille dal primo al secondo censimento e del 7,3 per mille dal secondo al terzo censimento), che è indubbiamente un enorme successo della pax augusta: vi hanno contribuito la minore mortalità dovuta al cessare delle guerre e alle migliorate condizioni socio-economiche, l’aumentata natalità, l’estensione della cittadinanza a vario titolo (in particolare quello delle manomissioni), la fondazione delle numerose colonie.

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