Bruno Giordano e Giancarlo Governi, una chiacchierata amichevole e tante storie di vita e di insegnamento. Il giornalista e il calciatore, dal cui sodalizio è nato il volume Una vita sulle montagne russe, hanno rilasciato alcune dichiarazioni rispondendo a poche brevi domande su tematiche non affrontate durante il piacevole e articolato dialogo con Ezio Tamilia nel martedì pomeriggio della Mondadori Bookstore Velletri-Lariano.
di Rocco Della Corte
Giancarlo Governi, una curiosità di stampo letterario: il titolo è una metafora, peraltro estremamente calzante, della vita di Bruno Giordano. Quando le è venuta l’idea di dare questo nome ad un libro che è molto più di una biografia?
L’idea delle “montagne russe” mi è venuta alla fine della stesura del libro. Credo che i titoli migliori arrivino sempre dopo aver terminato il lavoro (e Governi è alla sua trentesima pubblicazione, ndR). Ci siamo resi conto, ripercorrendo le vicissitudini raccontate, che è davvero un continuo di salite e discese. Il titolo quindi è il frutto delle sensazioni e delle emozioni vissute scrivendo. Dopo aver messo insieme tutte queste storie è venuto quasi spontaneo parlare di montagne russe, ed è sembrato un titolo adatto sia a me che a Bruno.
Rocco Della Corte, direttore di Velletri Life, e Giancarlo Governi |
Qual è stata la difficoltà maggiore nello scrivere questo libro avendo accanto il protagonista, che immagino avrà seguito passo dopo passo la stesura oltre al racconto delle sue vicissitudini?
La difficoltà maggiore è stata quella di aver scritto in prima persona io, che non sono il protagonista della storia. È come se io mi fossi immedesimato in Bruno Giordano, ascoltando dalla sua voce le vicende che hanno caratterizzato la vita e la carriera. Ho preso in prestito, infatti, da Flaubert una citazione e la premessa si intitola “Bruno Giordano c’est moi”. Viceversa, ho messo a disposizione di Bruno la mia penna e la mia narrativa, ed è venuto fuori un lavoro che ci gratifica molto.
Bruno Giordano e Guido Ciarla, titolare della Mondadori Velletri |
Bruno Giordano, uno dei particolari che lei ha raccontato con più emozione è l’episodio in cui da ragazzo si trovava a portare le borse dei calciatori della prima squadra ed essere soddisfatto di questi gesti. Oggi, sempre più spesso, i calciatori anche più piccoli ritengono invece “bassa manovalanza” dare una mano negli spogliatoi e portare la borsa ad un giocatore più grande. A suo avviso nel calcio di oggi manca umiltà?
Probabilmente sì, forse manca l’umiltà, perché alcuni gesti che prima ci onoravano, come può essere quello di portare la borsa ad un grande calciatore, oggi ai ragazzi sembrano denigratori. Naturalmente non è così perché si cresce anche in questo modo. Penso che i valori dell’umiltà e della collaborazione vadano insegnati a partire dalla Scuola Calcio, gli istruttori hanno un compito importante verso i più piccoli e i più giovani e per quelli che arriveranno a fare i calciatori professionisti nel futuro.
Una domanda che può essere ovvia e allo stesso tempo vaga: la nota dolente per il calcio italiano è la non qualificazione dell’Italia ai Mondiali. Cosa è mancato all’Italia di Ventura per staccare il pass per la Russia?
Cosa è mancato non saprei, ma credo che sia il problema di sempre che stavolta si è verificato in maniera più forte: si pensa troppo alle squadre di club e poco alla nazionale. Le squadre che sfornano talenti sono sempre di meno, e il fenomeno riguarda anche i Settori Giovanili. Non è una questione solo di mettere meno stranieri, bisogna lavorare sui calciatori italiani dalle basi. Anche qui è un problema che nasce dalla base. Pensare solo al proprio club, e alle competizioni disputate, facendo una squadra di top player talvolta solo stranieri è ovvio che poi danneggia la Nazionale.
Il fatto di essere arrivati agli spareggi ed essere usciti, in casa, contro la Svezia e davanti a 73.000 spettatori è sicuramente uno dei punti più bassi della storia del calcio italiano. È retorico dire che non si può che risalire?
No, anzi… Credo che se non si ripenserà il sistema calcio dopo questa clamorosa esclusione dai Mondiali, sessant'anni dopo l’ultima non partecipazione al Torneo, non lo si farà mai più. È un punto di svolta sicuramente.