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"Il Campo Marzio": rubrica archeologica a cura del Gruppo Archeologico Veliterno

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Prima parte della nuova puntata della rubrica archeologica: "Il Campo Marzo", a cura del Gruppo Archeologico Veliterno e del professor Ciro Gravier.

A parte la trasformazione dell’Urbe da città di mattoni a città di marmo, di cui a buon diritto si vantava (Svetonio ci dice: “iure sit gloriatus marmoream se relinquere quam latericiam accepisset"), il restauro di moltissimi edifici e templi legati alla tradizione, il completamento di opere intraprese prima di lui ma non portate a termine, la realizzazione di molte opere nuove, l’attenzione ai “vici” urbani, alle strade consolari e agli acquedotti (Res Gestae, XIX-XX-XXI), Augusto si segnala ai posteri per quattro monumenti eccezionali nel Campo Marzio (il vasto spazio fuori del pomerio, sacro da secoli al dio Marte): il Pantheon, l’Horologium, l’Ara Pacis e il Mausoleo.
Se si guarda su una pianta la collocazione di questi quattro monumenti, si nota che il Mausoleo (destinato ad accogliere per l’eternità lo spirito di Augusto) si trova dirimpetto al Pantheon (il tempio di tutti gli Dei), mentre l’horologium e l’Ara Pacis si trovano affiancati a metà strada, sì da ricordare, grazie al grande obelisco offerto in dono al Sole, che il tempo era ormai giunto e sarebbe restato per sempre a segnare la stagione definitiva della pace, così come il giorno fausto in cui ne era venuto al mondo l’artefice. Il primo monumento ad esservi elevato, fra il 27 e il 25 a.C., fu il Pantheon, ad opera di Agrippa (amico, grande collaboratore e genero di Augusto), di cui leggiamo ancora oggi l’iscrizione (una volta di bronzo dorato) “M•AGRIPPA•L•F•COS•TERTIVM•FECIT” (Fatto da Marco Agrippa, figlio di Lucio, l’anno del suo terzo consolato). Una seconda iscrizione scorre più in basso a ricordare un restauro compiuto da Settimio Severo nel 202 d.C. Fu quello l’ultimo restauro noto dell’antichità: tre altri lo avevano preceduto: nell’80 ad opera di Domiziano a seguito di un incendio, nel 110 ad opera di Traiano per riparare i danni di un fulmine e infine da Adriano, tra il 125 e il 128, che addirittura vi apportò delle modifiche sostanziali, quali l’inversione dell’orientamento e la diminuzione dell’altezza delle colonne del pronao. Ed è questa seconda versione quella che ammiriamo noi oggi e che descriviamo di seguito. Il Pantheon si compone di una vastissima cella rotonda e di uno stupendo pronao. La parte posteriore della cella è attaccata alle Terme di Agrippa, per cui è verosimile che essa, inizialmente, fosse destinata ad essere un’aula delle Terme e solo in un secondo momento sia stata convertita a tempio: in effetti si tratta di un unicum nell’architettura templare antica. La cella è una sfera dalle dimensioni colossali rese armoniche dalla perfetta proporzione e corrispondenza delle parti: il diametro, infatti, è uguale all’altezza (43m44, ossia 150 piedi romani). Con i suoi 52.000 metri cubi, intende e riesce benissimo a rappresentare l’axis mundi. Nel muro, dallo spessore di 6m40, si aprono nicchie alternativamente quadrangolari e semicircolari. La ricchissima decorazione interna di marmi e statue, così come la copertura di tegole in bronzo dorato, è stata depredata nel corso dei secoli, mentre il pavimento di magnifici marmi policromi formanti un reticolo di cerchi e quadrati è ancora quello originale. L’enorme cupola fu realizzata in calcestruzzo, abbellita all’interno da cinque anelli concentrici e degradanti di stupendi cassettoni, fino all’apertura dell’oculo di 8m92. di diametro da cui entra la luce che materializza il vuoto della sfera, come il sole la volta del cielo. Per l’esattezza il materiale con cui fu costruita non fu lo stesso per tutto il suo spessore: alla base fu gettato calcestruzzo con scaglie di mattoni, poi altro calcestruzzo con scaglie di mattoni e di tufo, e infine calcestruzzo con scaglie di tufo e pomice: fu questa accortezza (materiali via via più leggeri dal basso verso l’alto) che garantì e garantisce tuttora che non si verifichi il collasso. Si dice che per costruirla, fu riempito di terra l’intero spazio interno, e su di esso furono gettati gli strati di materiale; una volta che il materiale fu rappreso, l’interno fu svuotato della terra che fu accumulata poco lontano e formò l’attuale Montecitorio. La luce che entra dall’oculo compie dei veri miracoli in alcuni giorni “magici”: ad esempio, esattamente a mezzogiorno del 21 aprile (Natale di Roma) il fascio di luce inonda la porta d’ingresso, il 21 giugno (solstizio d’estate) la luce forma esattamente al centro sul pavimento un diametro pari all’oculo da cui proviene, ai due equinozi il fascio di luce supera il portale d’ingresso e giunge fino al pavimento del pronao. Altri fenomeni si verificano in altre date, corrispondenti a feste importanti del calendario romano. Questo ha fatto pensare che il Pantheon fosse una sorta di meridiana, la cui concezione è da far risalire all’architetto Apollodoro di Damasco. Il fatto è che se, inizialmente, l’idea di Agrippa era di farne un tempio di culto dinastico della famiglia Giulia (Marte e Venere) – e così fu, Adriano lo indirizzò al culto dei sette dei planetari (quelli che poi daranno i loro nomi ai giorni della settimana): Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno e Sole, le cui statue erano collocate nelle sette nicchie del perimetro.

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