Giovanni Testori a Velletri, un intellettuale e una città che ha fame di cultura. Prima della lettura scenica di Tentazione nel convento, opera dell'autore milanese mai rappresentata, ha avuto luogo una breve retrospettiva letteraria volta ad inquadrare lo scrittore.
VELLETRI - Giovanni Testori, nato a Novate Milanese nel 1923 e morto a Milano nel 1993, è stato uno degli scrittori più prolifici del Novecento italiano. Spaziando tra differenti tematiche, l'autore del Dio di Roserio ha molto da dire e la sua produzione sterminata non può che racchiudere sin troppi spunti. Prima della lettura scenica, un breve dialogo di quindici minuti tra il dottor Rocco Della Corte, giornalista e studioso di Letteratura Italiana Contemporanea, e Alberto Pucciarelli, poeta, appassionato cultore di Letteratura e volto noto nel panorama veliterno e non solo, ha inquadrato per quanto possibile la figura di Testori. Riproponiamo l'intervista integrale, nella speranza che susciti la curiosità e l'interesse dei lettori nel riscoprire un autore da non marginalizzare.
L’estetica del Surrealismo, questo il tema della tesi di laurea di Giovanni Testori. Dopo il ’46, lo scrittore lombardo ebbe un contatto continuo con storia dell’arte, critica, e poi la letteratura. Non è surreale che un autore in doppia cifra, in fatto di pubblicazioni, sia così marginalizzato dai quadri storiografici?
È certamente strano, forse sconvolgente relativamente all'esperienza avuta sul campo in questa occasione; strano anche in considerazione del valore e non solo della vastità della sua produzione. Proverò ad indicare qualche motivo. Inizio dalla tesi, che tu hai ricordato, per dire che già la sua vicenda è significativa. Testori la doveva discutere alla Cattolica di Milano e, poiché ovviamente nell'elaborato si dava spazio al modernismo, alle pulsioni sessuali e all'inconscio, la stessa tesi fu giudicata non discutibile in quella Università ‘perbene’. Il Nostro dovette, per evitare le complicazioni di rivolgersi alla Statale, sfrondarla di alcuni passaggi, e alla sessione successiva si laureò con 110, ma non con lode. La vicenda è significativa perché è il paradigma di tutto il suo percorso artistico: una lotta continua contro il conformismo e i sepolcri imbiancati. Anche nel dramma di questa sera si dirà che bisogna coprire al mondo la fine di Suor Marta con una pietosa ma necessaria bugia. Altro motivo è la stessa ponderosità dell’opera di Testori, intesa in duplice senso: vasta e che spazia in ogni campo, dalla critica dell’arte nella quale eccelse e che forse fu la sua passione più sentita (dal Caravaggio agli artisti italiani e stranieri più sconosciuti ma non meno validi) la narrativa, il teatro e la poesia, sottolineo ingiustamente ancor più dimenticata (ma già nel 1965 Carlo Bo intitola un articolo “Caproni e Testori nello scaffale sicuro della Poesia”) poesia che alle volte gronda sangue alle volte è estremamente lirica. Ponderosa poi nel senso che le domande che Testori si fa e ci fa pesano, e riguardano i temi scottanti della vita. L’inspiegabile presenza del male e dunque l’Assurdo della vita (Albert Camus) il dubbio sull’esistenza di Dio e al contempo il rimorso per non essere stato capace di riconoscere questa esistenza, una lotta continua tra il reale (l’amicizia con Guttuso) e il surreale, inteso come la sua aspirazione ad una impossibile gestione tranquilla della vita stessa. Ulteriore spiegazione della sua marginalizzazione è l’aver scelto, per carattere e anche per impulso etico, una vita dal profilo riservato, diremmo “una vita da mediano”; ma non è Oriali o Gattuso, piuttosto nella sua opera sono all’ordine del giorno i passaggi illuminanti e i gol geniali di un Pirlo. Mentre Pasolini, suo fratello di tanti temi e di condizione umana, era più affabulatore e mediatico, senza nulla togliere alla sua profondità di letterato, Testori, carattere più schivo e in definitiva fragile, era immerso nel “lavoro che non può mai finire” per citare l’Ungaretti dalla voce roca e dall’occhio limpido.
Testori trattò svariate tematiche, dallo scandalo con L’Arialda, definito spesso “osceno”, fino alla morte, passando per la cronaca. L’opera più famosa, però, è il Dio di Roserio, anche se spesso citato rapidamente nelle antologie. Qual è lo scritto più evocativo, a tuo avviso, in cui emerge più fortemente la personalità dello scrittore, artistica e letteraria?
Ricollegandomi a quanto detto prima non esiste un’opera più rappresentativa della personalità artistica di Testori. Bisogna citarne almeno quattro o cinque, anche se Il dio di Roserioè la prima e più dirompente per novità di linguaggio e di stile narrativo, assolutamente sfrecciante come il ciclista che ne è protagonista, però attanagliato anch'egli dal rimorso per aver causato la caduta pressoché letale di un compagno. Poi Il ponte della Ghisolfa innovativo, prima ancora di Pasolini come tiene a sottolineate Testori stesso che usa per pudore la locuzione “prima di altri”; innovativo, si diceva, per la ricerca sul tema della vita delle periferie, questa volta milanesi, ma anche per l’articolazione in racconti e personaggi che ritornano e si intersecano in una specie di moderna e ante litteram‘serial fiction’. Poi l’opera teatrale La Maria Brasca tecnicamente migliore de L’Arialda, e, nel panorama testoriano, eccezionalmente ottimistica. L’Arialda stessa, scandalosa non tanto per le presunte oscenità di linguaggio quanto per aver messo la lente sulle distorsioni sessuali all’interno della famiglia borghese. Infine Il fabbricone, forse l’opera più completa perché ritroviamo condensati molti temi e una esemplificativa lotta tra comunisti e democristiani, ormai interessante solo sotto il profilo storico. In tutta l’opera di Testori (concentrata al massimo negli anni 50 e 60) troviamo grande tensione morale e bisogno di risolvere (pacificare) le coscienze. Anche in questo caso, facendo un raffronto con l’altro pilastro della rivoluzione letteraria del Novecento, si può dire che mentre Pasolini accentua l’aspetto sociologico delle vicende, Testori privilegia quello psicologico.
Uno dei passaggi più importanti riguardo Testori è il linguaggio: qual è il merito di Testori, a livello letterario, e anche in relazione a quest’opera, e come nasce l’idea di rappresentarla a Velletri in un contesto che si sposa così bene con la location prescelta?
Certamente il linguaggio letterario di Testori è rivoluzionario, ma è non una rivoluzione cruenta, ma piuttosto decisa ed equilibrata. Via i preamboli, fronzoli, perifrasi o metafore non necessarie. Come ho avuto occasione di scrivere è un film che, sebbene colorato di particolari forti, resta in bianco e nero, a significare che mira alla sostanza e diventa perciò esso stesso sostanza. Anche l’uso del dialetto, quella particolare forma espressiva e vibrazione dello spirito, non è ridondante o accattivante, ma limitato al necessario e consono al personaggio e alle sue radici, mentre forse in Gadda, per esempio, è più costruito. Nel dramma di cui verrà data lettura teatralizzata c’è ritmo e rigore stilistico. Il problema del male e del suo impatto nei vari soggetti viene affrontato di petto ma non superficialmente, sicché il messaggio è forte ma non spaventevole. L’idea, come già detto, è di Pasquale Larotonda e del suo gruppo di lettura; il contesto del chiostro, sia pure affascinante, non è stata la molla decisiva, ma piuttosto il desiderio di trattare testi e temi non usuali, per rinnovarsi scoprendo quanto di ottimo c’è in molti autori poco conosciuti più o meno colpevolmente.
Tentazione nel conventoè, sommariamente parlando, la storia di una lotta con Dio: come avete interpretato questa battaglia antica e sempre attuale e quali spunti di riflessione vi ha suscitato?
La battaglia si svolge, nell’apparenza scenica e nei simboli, con Dio, ma è vissuta soprattutto nell’anima e nelle coscienze dei personaggi. Dio esiste, crea, indirizza e assiste, o è una esigenza di trascendenza dell’animo umano? Il male è causato o tollerato da Dio, o muove dalla parte luciferina dell’uomo che vuole rivoltarsi a Dio? E la solidarietà umana esiste nella realtà o è solo parole? E la lotta tra il rimorso di non aver agito giustamente e la voglia egoistica di rimuoverlo come finirà? Tutto ruota intorno ai versi emblematici di Testori che possono essere il testamento di questa e di tutta la sua opera, e che giova ripetere: “se è bestemmia / pensarti inesistente / non Ti chiedo pietà. / Davanti a Te / che ritenevo Dio, / alzo come un pugno / la mia idiota realtà … sono caduto sotto il mio stesso peso / non avevo su di me nessuna croce”. Forse Tentazione nel convento darà alcune risposte, o invece lancerà ulteriori interrogativi.