PRIMA PARTE Dal 28 agosto fino alla notte tra l’1 e il 2 di settembre del 31 a.C., un furioso temporale durato quattro giorni e il vento contrario da sud-est aveva impedito sia alle navi di Augusto di muovere da Corcira (Corfù) a nord sia a quelle di Antonio e Cleopatra di uscire dal golfo di Ambracia a sud.
di Ciro Gravier
Gruppo Archeologico Veliterno
All’alba finalmente il vento cessò e le due flotte si mossero, senza vele, solo a remi.
La mattina del 2 settembre, dunque, con tempo di bonaccia e mare tranquillo, lo schieramento delle due flotte, quella romana di Ottaviano con alle spalle il mare aperto e quella romano-egiziana di Marco Antonio e Cleopatra con alle spalle il continente, che si fronteggiavano in semicerchio concentrico nelle acque di Azio a otto stadi circa di distanza l’una dall’altra era la seguente: • Flotta di Ottaviano: ala sinistra al comando di Agrippa; ala destra al comando di Ottaviano; al centro le navi comandate da Arrunzio; • Flotta di Antonio e Cleopatra: ala destra (fronteggiante l’ala sinistra nemica) al comando di Antonio; ala sinistra (fronteggiante l’ala destra nemica) al comando di Celio Sosio; al centro (opposto al centro nemico) le navi comandate da un certo Ottavio. In seconda linea dietro al centro, 60 navi di Cleopatra. Lo schieramento formava un ampio arco di cerchio che andava dalla penisola meridionale dell’Epiro, a nord, all’estremo nord dell’isola di Leucade, a sud e comprendeva, al netto delle differenti versioni delle fonti antiche latine (Svetonio, Velleio Patercolo, Floro) e greche (Plutarco, Dione Cassio), circa 400 navi (prevalentemente pesanti) per la flotta di Antonio, cui si aggiungevano le 60 navi di Cleopatra, e circa 300 navi di Ottaviano (prevalentemente leggere). Sulla terraferma erano rimasti i poderosi eserciti di terra nei loro accampamenti: a nord, sulla penisola della futura Nicopoli, quello di Ottaviano e a sud, sul promontorio di Azio, quello di Antonio. Fino a mezzogiorno la situazione restò immobile, nonostante i lanci reciproci di proiettili e saette. Poi, verso mezzogiorno, si levò una brezza da nord-est. Cominciarono a muoversi le ali: a sud l’ala sinistra di Antonio (agli ordini di Sosio) attaccò l’ala destra di Ottaviano, a nord l’ala sinistra al comando di Agrippa si spostò sotto costa nel tentativo di avvolgere la destra di Antonio. Si combatté aspramente da ambo le parti, senza che nulla sostanzialmente si modificasse tranne ciò che era già avvenuto: ossia un ampio varco prodottosi al centro a causa dello spostamento delle ali. Attraverso questo varco, appena nel pomeriggio si levò il vento quotidiano di maestro da ovest-nord-ovest, spuntando da dietro alla linea centrale di Antonio, si infilarono velocissime a vele spiegate le navi di Cleopatra, e puntarono verso sud, senza poter essere inseguite dalle navi nemiche che avevano tutte la prora in direzione opposta. Appresso a Cleopatra, passa anche la quinquereme di Antonio seguita da 40 navi. Le navi sfuggite puntano su Tenaro, a sud del Peloponneso, e da lì ad Alessandria in Egitto. Indietro a loro, la battaglia continua fino a che, al calar della sera, le navi non affondate, per quanto malconce, dei due schieramenti, con qualche fatica anche in ragione del mare mosso, ritornano alle posizioni di partenza: quelle di Ottaviano agli approdi protetti di Corfù, e quelle di Antonio nel golfo, ugualmente protetto, di Ambracia. In definitiva, la battaglia non era stata risolutiva. Ma perché e in che modo fu proclamata la vittoria da parte di Ottaviano? Perché, poi, una battaglia navale e non terrestre? Perché ad Azio in Grecia e non in Italia o in Egitto? Perché la fuga di Cleopatra e di Antonio, se fuga fu? Cerchiamo di dare una risposta ragionata a queste domande, cominciando dall’ultima. La “fuga” Le 60 navi di Cleopatra si erano disposte ad una opportuna distanza dietro al compatto segmento centrale dello schieramento, in modo da non essere colpite e non essere viste dal nemico. Anche se avevano a bordo armati e munizioni, in funzione di difesa, non si trattava di navi da attacco e da combattimento propriamente dette. Erano navi leggere e veloci che aspettavano solo il momento giusto per sganciarsi dalla battaglia. “… Improvvisamente si videro le sessanta navi di Cleopatra alzare le vele per prendere il largo e fuggire passando attraverso il folto dei combattenti. Disposte com'erano dietro alle grosse, infiltrandosi in mezzo ad esse provocarono grande confusione. Gli avversari assistettero stupiti a quello spettacolo, vedendo che spiegavano le vele al vento e puntavano verso il Peloponneso" (Plutarco, Antonio, 66). I nemici, come ci dice Plutarco, le scorsero solo quando era troppo tardi, ma gli alleati sapevano bene della loro esistenza e del loro posizionamento. Non era dunque possibile che essi le proteggessero fino al momento di farle passare, se la manovra non fosse stata concordata in anticipo. Se ne conclude che la partenza di Cleopatra con le sue navi dal luogo della battaglia non fu un colpo di testa della regina, bensì una manovra di sganciamento preordinata in seno al Consiglio di guerra. Appena terminarono di passare le navi di Cleopatra, Marco Antonio si sganciò a sua volta con la quinquereme ammiraglia e altre 40 navi. La quinquereme era stata preparata apposta e si trovava di scorta accanto a quella su cui era salito Antonio e dalla quale dirigeva intanto gli spostamenti, pronta ad accoglierlo al momento opportuno. Su di essa lo attendeva il fidato Alessi di Laodicea. Anche il ritirarsi di Antonio dal luogo della battaglia era stato dunque organizzato nei minimi particolari, benché – come ovvio - non fino all’ultimo marinaio fosse stato messo precisamente al corrente delle decisioni che erano state prese. Di sicuro ne erano informati almeno gli ufficiali di grado più alto. Se questo non fosse stato, il resto della flotta, vedendo il comandante scappare, non avrebbe più continuato a combattere e si sarebbe arreso. Invece le navi restanti, pur avendolo visto andar via, lo coprirono continuando a combattere fino al tramonto. Di tutta evidenza, il piano di battaglia prevedeva lo scompaginamento e lo sfondamento del blocco nemico. Essere riusciti in questa impresa non solo non era atto di viltà, ma dimostrava chiaramente la mediocrità della strategia e l’inefficienza delle forze di Ottaviano, così platealmente ridicolizzate. Cosa ancora più grave, il piano di Antonio era noto ad Ottaviano, poiché nella notte tra l’1 e il 2, un disertore, un certo Quinto Dellio (che era consigliere di Antonio), aveva raggiunto l’accampamento nemico e riferito le decisioni che erano state prese nel Consiglio di guerra. Delle due l’una: o l’intero Stato maggiore (compresi Agrippa e Ottaviano) non vi prestò fede, o restarono tutti inoperosamente all’erta ma senza aver predisposto neanche uno straccio di piano B. Restano ancora da capire le ragioni di questa tattica. Orbene, la stragrande parte del naviglio di Antonio era costituita da navi molto grandi, pesanti e lente (le cosiddette “catafratte”, equivalenti delle nostre corazzate) e la minor parte da navi leggere e veloci (liburne e triremi). Per Ottaviano era esattamente il contrario. Quindi, le navi di Antonio non potevano uscire dal golfo di Ambracia, dove erano al sicuro, senza correre il rischio certissimo di essere raggiunte e sopraffatte in mare aperto da quelle di Ottaviano. D’altra parte Ottaviano non poteva avventurarsi nel golfo di Ambracia senza essere inevitabilmente chiuso in trappola e annientato. Si era così in una situazione di stallo da molte settimane. La situazione più pericolosa però era quella di Antonio che si vedeva in qualche modo bloccato, senza via di fuga, e con i fanti di terra praticamente assediati, inoperosi, bisognosi di approvvigionamenti continui - specie di acqua, diventata imbevibile -, e da ultimo, sottoposti agli assalti micidiali delle zanzare: condizioni, tutte, che aumentavano quotidianamente il numero delle diserzioni, anche di ufficiali superiori, che le severissime pene e decimazioni non facevano che moltiplicare, diffondendo anzi il dubbio che si trattasse di una guerra giusta. L’unica cosa da fare, e da fare subito, era quindi di lasciare sul posto i colossi pesanti e andar via con le navi leggere, con tanti saluti beffardi ad Ottaviano. Abbiamo visto che il progetto riesce. E questo risultato è a tutto disdoro di Ottaviano che, ben conoscendo la situazione in cui si trovava il suo avversario, avrebbe dovuto immaginare che prima o dopo avrebbe messo in atto un simile stratagemma. Possiamo concludere questo punto affermando che dal punto di vista della tattica militare, il successo fu tutto di Antonio e lo scorno tutto di Ottaviano.