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Un quarto di secolo, la stessa voglia di giustizia: il ricordo di Giovanni Falcone

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Ore 17.58 del 23 Maggio 1992: lo stato perde una battaglia decisiva per le proprie sorti. Muore Giovanni Falcone, l’uomo della speranza, colui che sfidò Cosa Nostra e preferì alla sua vita quella di molti siciliani, agendo concretamente contro la mafia per la libertà.

E’ un eroe dello Stato, insieme a Paolo Borsellino, ed entrambi sono stati anche più volte infangati nonostante il sacrificio terribile fatto per avere una comunità migliore. Non basterebbe un giornale intero per celebrarli abbastanza, forse non capiremo mai chi è stato Falcone o chi è stato Borsellino, e pur sentendoci vicini a loro li avremo comunque, nei fatti, lontani. Ma non nelle idee.

Un quarto di secolo dopo la storia di Falcone scatena ancora voglia di giustizia. Oltre al caso Rosario Spatola, il giudice palermitano si impegnò nel pool antimafia ed arrivò ad una svolta decisiva nella lotta a Cosa Nostra con l’arresto di Tommaso Buscetta del 1983. Con gli interrogatori del pentito vennero a galla moltissimi elementi che portarono al Maxiprocesso in una data storica  ed indimenticabile: 16 Novembre 1987. Quel giorno fu il frutto di mesi di lavoro svolto da Falcone e Borsellino (anche in isolamento all’Asinara). Il risultato, tuttavia, fu senza precedenti e notevole: 360 condanne, 2660 anni di carcere e undici miliardi e mezzo di lire da pagare in multe e sanzioni. E’ la prima grande vittoria dello Stato sulla mafia.  Non si va avanti sulla stessa stregua però perché qualcosa va storto: Antonino Caponnetto, membro del pool, deve lasciare l’incarico e alla sua successione si candidano Antonino Meli e Giovanni Falcone. Le elezioni le vince Meli, il perché della vittoria implica misteri ed enigmi storici ancora da scoprire: si è trattato di una manovra per mettere alla porta Falcone? La risposta è ignota, tuttavia il nuovo consigliere istruttore inizia un’attività di disturbo al lavoro di Falcone e Borsellino, sempre più soli contro il mondo nella lotta alla mafia.  “Sono un morto che cammina”: questa la dichiarazione di Giovanni all’amico Paolo dopo gli ultimi eventi che lo lasciano isolato ed amareggiato. Soltanto l’amore con Francesca Morvillo colora le sue cupe giornate piene di lavoro e delusioni. Il 21 giugno 1989 gli viene ordito un attentato nella villa al mare all’Addaura, ma fortunatamente fallisce. La figura del giudice diventa sempre più scomoda, riesce a mettere in luce come lo Stato sia a tratti colluso con la mafia e come siano troppe le manovre subdole che nessuno ha la volontà di smascherare. Immenso il marcio che campeggia tra la Sicilia e Roma. Indicativa a tal proposito la dichiarazione: “Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere". Amara e saggia consapevolezza: ormai è tardi. E’ il 23 maggio 1992: Falcone si trova a Roma e parte da Ciampino. Subito dall’aeroporto viene avvertito qualcuno a Palermo. Alle 16.44 arriva a Punta Raisi. Non lo sa, ma ha soltanto un’ora da vivere. Un piccolo numero finito di respiri, un tempo chiuso per credere ancora in quei nobili ideali. Qualcuno preme un bottone per distruggere alcuni metri di autostrada allo svincolo di Capaci. Distrugge, contemporaneamente, cinque vite, distrugge la giustizia, distrugge una parte d’Italia. Distrugge sé stesso, ma forse non se ne renderà mai conto. Lo Stato ha perso, Giovanni Falcone no. E’ troppo facile dire che non si dimenticherà…troppo bello elogiare un martire dello stato. Ma è lui che è morto. Ogni italiano dovrebbe sentire un tuffo al cuore ed un enorme sdegno quando ascolta le parole e le vicende di questo eroe, vero, morto per la libertà. La rabbia dovrebbe salire, lo sguardo dovrebbe corrucciarsi e l’indifferenza dovrebbe sparire. Anche se paradossalmente solo il silenzio può aiutare. E’ meglio di centomila dichiarazioni scontate. Anche un solo attimo di silenzio, che scacci via l’indifferenza. Oggi passando in Piazzale Falcone e Borsellino, davanti al tribunale veliterno, forse qualcuno si fermerà a pensare. Sarà un istante limpido di giustizia e di libertà.

UNA CANZONE DI JOVANOTTI SULLA STRAGE

Migliaia di ragazzi in piazza a Palermo,

un saluto alla bara del giudice Falcone,
hanno bisogno di una risposta,
hanno bisogno di protezione,
i ragazzi sono stanchi dei boss al potere,
i ragazzi non possono stare a vedere,
la terra sulla quale crescerà il loro frutto,
bruciata e ogni loro ideale distrutto,
i ragazzi denunciano chiunque acconsenta,
col proprio silenzio a un'azione violenta,
i ragazzi sono stanchi e sono nervosi,
in nome di Dio a' fanculo ai mafiosi!!
i ragazzi denunciano chi guida lo stato,
per non essersi mai abbastanza impegnato,
a creare una via per chi vuole operare,
senza essere costretto per forza a rubare,
per creare un via per gli uomini onesti,
per dare ai bambini valori robusti,
che non crollino appena si arriva ai 18,
accorgendosi che questo mondo è corrotto,
i ragazzi non credono ad una parola,
di quello che oggi ci insegnano a scuola,
i ragazzi diffidano di ogni proposta,
non stanno cercando nessuna risposta,
ma Fatti, Giustizia, Rigore morale,
da parte di chi calza questo stivale,
i ragazzi hanno il tempo che li tiene in ostaggio,
ma da oggi hanno deciso di farsi coraggio,
perché non ci siano un altra strage di maggio,
per riuscire ci vuole cultura e coraggio,
cultura di pace, coraggio di guerra,
il coraggio di vivere su questa terra,
e di vincere qui questa nostra battaglia,
perché quando nel mondo si parli di Italia,
non si dica soltanto: la mafia e i mafiosi,
perché oggi è per questo che siamo famosi,
ma l'Italia è anche un’altra e la gente lo grida,
i ragazzi son pronti per vincere la sfida.



Questo articolo è stato scritto il 23-05-2010.

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