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Il mister Hyde in Wilcock: lo straniero di passaggio

Me l’immagino spuntare dal nulla una notte d’estate, pressato nell’abitacolo di un’Ape Piaggio, ostacolo al manubrio di plastica, già limitato di suo, color avorio del samaritano di turno. 

di Luca Leoni
Gruppo Wilcock Veliterno


E che la vecchia casa colonica col terreno l’abbia depredata a due soldi a uno strozzino in punto di morte, senza parenti al capezzale. Roba bestemmiata che non godrà mai di luce. E’ sempre stato uno straniero, anche nella sua sterminata terra natale, selvaggia e di pochi complimenti.
Un assemblaggio di cittadinanze, lingue, culture e preconcetti, il tutto scaraventato nel calderone di un temperamento in perpetua ebollizione. Un carattere scontroso, di matrice feudale con echi schiavisti, avviluppato in un’autostima che sconfinava nel disprezzo pressoché totale verso il resto dell’umanità. Quando prese possesso del suo microscopico feudo, non seminò monete d’oro al suo passaggio, ma sottomise i contadini circostanti. Iniziò ammaestrandoli sull’agricoltura, sulla res aedificatoria, tentò una ‘tabula rasa’ a suo capriccio. Attinse dai fuochi delle frasche d’olivi per alitare fumo denso nei loro occhi. Apparve e sparì altrove, in un tugurio coperto a eternit, impolverato di quella terra come magnesio, ma restò in taluni misteriosi racconti, senza tuttavia lasciare un ricordo gradevole del suo passaggio. Carlo Levi fu tutt’altro, per la gente di Aliano.



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