La scelta di Rodolfo Wilcock di stabilirsi in territorio veliterno fu casuale: necessitava di un luogo discreto e ameno dove poter svolgere la sua poliedrica attività artistica e nella contrada di Colle Formica trovò la casa giusta per lui, idonea alle sue esigenze di uomo e di artista.
di Marisa Monteferri
VELLETRI - Una casa contadina di fine Ottocento inizio Novecento, in stile padronale, vale a dire in muratura e con piccole comodità annesse, che per l’epoca erano un lusso; a dire di Rodolfo, la casa pareva fatta dagli angeli: sobria, spartana, discreta.
Una casa che, tra le altre cose, ospitava spesso la gaiezza e la giovinezza di un gruppo di ragazzini del circondario che in seguito avrebbero dato vita su Facebook al “Gruppo Wilcock Veliterno” che si occupa di diffondere la memoria dell’artista. Casa Wilcock era frequentata da artisti come Vittorio Gassman, Laura Betti, Elsa Morante, Elio Pecora; Donna Olivetti e Donna Amaldi, Roberto Vacca, Alberto Moravia, eccetera. In origine la casa di Wilcock era circondata da un vigneto che Rodolfo fece subito estirpare; volle invece creare un ambiente agreste a suo piacimento che gli ricordasse, seppure vagamente, una somiglianza con l’amata Argentina, la terra dove era nato nel 1919. Si impegnò alacremente nel piantare un bosco di alberelli di eucalipto avanzati dalla bonifica della pianura pontina e sotto il tipico pergolato di vite, immancabile in ogni casa o capanna, volle un ricostruzione in piccolo del tipico quanto classico patio argentino, che tanto doveva aver amato nella sua casa di Buenos Aires. All’Università di Buenos Aires si laureò brillantemente in ingegneria civile ed esercitò la sua professione lavorando alla realizzazione della ferrovia trans- andina. Aveva già stretto amicizia con Jorge Luis Borges, Silvina Ocampo, Adolfo Bioy Casares, la triade dell’Intellighensia argentina, e pubblicato a proprie spese i suoi primi libri di poesie spagnole, con i quali vinse premi importanti, e diretto riviste letterarie specializzate. Attratto da altre culture e in seguito a fatti e dissapori politici, decise di venire in Europa; aveva avuto un padre inglese, una madre italiana, dei nonni svizzeri, che lo avevano lasciato presto: non aveva altri legami radicali in quella patria così lontana dalle sue radici. Le sue origini pan europee gli permettevano di parlare fluentemente l’inglese, lo spagnolo, l’italiano, il tedesco e il francese; non ignorava il latino né il greco né l’esperanto. Trascorse un anno a Londra lavorando al consolato argentino; tornò quindi a casa e sistemare le sue cose e maturare la decisione di trasferirsi definitivamente in Europa, dove tornò appena un anno dopo, scegliendo di stabilirsi in Italia e precisamente a Roma, la città imperiale che tanto amava, di cui conosceva tutta la storia antica. Come primo lavoro, insegnò letteratura inglese e francese all’Università della Sapienza, dove un giovane studente nostro concittadino, il professor Adeo Viti, fu suo brillante allievo. A Roma ebbe inizio la carriera italiana letteraria, giornalistica e teatrale di Wilcock; iniziò a scrivere articoli per i maggiori quotidiani romani, incluso l’Osservatore Romano, e per riviste mensili e settimanali: Le Monde e L’Espresso erano fra queste. Traduttore, scrittore, drammaturgo, poeta e ingegnere: lavorava sempre con grande zelo, concedendosi poche pause e distrazioni. Si concesse, però, una piccola particina nel film “Il Vangelo secondo Matteo” , dove impersonava Caifa, che Pier Paolo Pasolini gli offrì: visibile su “you tube” per chi volesse vedere il film. Alla fine degli anni Cinquanta, decise di lasciare Roma per un posto più tranquillo: casualmente la scelta cadde su un terreno in vendita a Velletri, che gli piacque molto e che comprò nel giro di poco tempo. Non era solo quando arrivò a Velletri; lo accompagnava il figlio adottivo Livio Bacchi Wilcock, fine ispanista e traduttore ufficiale di Borges, purtroppo scomparso di recente a Lubriano (VT) dove era rimasto a vivere dopo la morte del padre avvenuta il 16 Marzo 1978. Negli anni fecondi che Wilcock trascorse a Velletri, 1959/1970, in contrada Colle Formica, tradusse molte delle sue opere più importanti, scrisse alcuni suoi romanzi più significativi, si dedicò al teatro scrivendo con testi di drammaturgia e seguendone personalmente la regia, continuando sempre a collaborare con riviste e quotidiani. Le sue opere teatrali venivano rappresentate a Roma ma anche a Parigi e proprio per ragioni di lavoro si trasferì di nuovo nella capitale, in una zona molto periferica, da dove poteva seguire meglio il suo lavoro. Non vendette mai la proprietà di Velletri, dove suo figlio Livio ed altre persone di famiglia soggiornavano spesso. Tutt’ora la proprietà è invenduta ed appartiene a persone dell’”entourage” di Wilcock. A Velletri dedicò una poesia d’intenso spessore, poco conosciuta dai veliterni e poco valorizzata dalle amministrazioni che man mano si sono susseguite nella gestione della città che, ospitando un artista di tale spessore internazionale nella sua terra, si è culturalmente arricchita. www. wilcock.it e wikipedia sono i siti ufficiali da consultare, per altre notizie e una bibliografia più completa.
A VELLETRI
Sono andato fino alla fermata dell’autobus,
mi sono seduto sul muretto del ponte:
la mia ombra era l’ombra di un giovane,
ma anch’io sono l’ombra di un giovane.
Juan Rodolfo Wilcock