L'11 marzo 1911 nasceva Alba De Cespedes: semplicemente una donna, ma non per parafrasare il titolo del romanzo di Sibilla Aleramo, quanto per descrivere con un'espressione che avrebbe trovato il suo gradimento - senza scadere nell'accezione banale del termine - un'intellettuale poliedrica, coraggiosa, preparata e soprattutto ingiustamente marginalizzata dai quadri storiografici letterari.
di Rocco Della Corte
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Alba De Cespedes e Andreina Pagnani |
Clorinda, questo il significativo appellativo radiofonico e nome di battaglia durante la Resistenza, che la vide parte attiva da convinta anti-fascista quale fu, ha saputo interpretare - da una posizione scomoda sia politicamente che socialmente - le istanze di rinnovamento che la narrativa contemporanea richiedeva a gran voce. Troppo ingiusti, invece, sono stati i quadri storiografici che a lungo e indegnamente hanno ignorato una scrittrice davvero brillante, sia per tematiche che per stile (è del 2011 il Meridiano Mondadori a cura di Marina Zancan). Una prosa fluente, leggera e densa di rimandi, accompagnata da uno sguardo femminile discreto e dignitoso, non omologato e retrivo ai luoghi comuni sulle donne stesse. Dalla parte di lei (1949), solo per citare uno dei romanzi più intensi ed impegnativi, è una storia di sentimenti e sensazioni, profondamente umana, che non trascura nemmeno i lati più macabri e oscuri, tutt'altro che femminili, di Alessandra, la protagonista che vive una maturazione particolare a partire dal traumatico distacco dalla madre.
Il finale, lo sparo che arriva quasi a sorpresa per consumare l'omicidio del marito, la fine di un amore coniugale di fatto già ai titoli di coda dopo pochi mesi rappresentano nel tessuto narrativo una conclusione naturale di un percorso comune a due persone che si sono perse per strada, ma la bravura di De Cespedes sta nel rimanere sempre ad un livello alto di narrazione e qualità, senza mai far prevalere quelle punte rosa che avrebbero potuto esporre il romanzo ad una critica feroce e spietata per il senso di giustificazione che la stessa Alessandra porta attorno a sé alla fine della lettura. Guardare il mondo dall'ottica femminile: una missione vera e propria per Alba, che tuttavia non obbliga chi la legge ad essere di parte, bensì cova solamente, e a ragione, la speranza di mostrare un'altra prospettiva, aprirla coraggiosamente e consapevolmente, abbattendo i pregiudizi che soprattutto nell'ambito culturale non potevano più essere accettati. Alessandra aveva bisogno di considerazione, non di un muro di spalle: ha avuto un coraggio estremo, ma paradossalmente non sembra biasimabile nonostante il gesto assassino. Una campagna costante contro il bigottismo portata avanti in tutti i campi, dalla vita pubblica a quella letteraria. L'esperienza editoriale di «Mercurio», durata dal 1944 al 1948, è stata un tratto fondante per la formazione dell'intellettuale De Cespedes: figlia di un ricco diplomatico cubano, la scrittrice ha trovato la propria emancipazione (come Irene in Prima e dopo?) guadagnandosi a poco più di trent'anni il ruolo di Direttore di una rivista fondamentale nell'alimentare il dibattito letterario, fervente all'epoca. Le firme dei redattori parlano da sole: sulle colonne del mensile «di politica, arte e scienza scrissero» in un equilibrio quasi perfetto uomini e donne del calibro di Alberto Moravia, Eugenio Montale, Paola Masino, Sibilla Aleramo, Gianna Manzini. Resistenza, Italia, società civile, battaglie per i diritti, tutto questo e molto altro rappresentavano la letteratura e quella rivista per Alba De Cespedes, prolifica e attenta ad ogni dettaglio, dal lessico curato e mai casuale. Nessuno torna indietro è forse ancora più indicativo per comprendere l'impronta letteraria dell'autrice di cui ricorre l'anniversario di nascita: gli incroci delle vicende di sette donne che si confrontano, si scontrano, si scambiano opinioni e sorpassano il ponte, elemento simbolico, della maturazione rappresentano una presa di coscienza dell'universo femminile nei confronti del proprio valore e delle proprie doti.
Non si può tornare indietro, ma non bisogna essere retrogradi: i sogni delle protagoniste, tutte diverse, ad incarnare la variegata gamma di sfaccettature del mondo femminile, lo ricordano a tutti e alle donne in primo luogo. Ironica, ossimorica, sarcastica: «Le donne sono stupide, altrimenti non sarebbero donne», rivela in modo irriverente la scrittrice ne La bambolona, volume da cui è stato tratto l'omonimo film interpretato magistralmente dal veliterno d'adozione Ugo Tognazzi. Un'altra attrice vissuta per lungo tempo a Velletri, Andreina Pagnani, che vendette poi la sua villa di Colle Ottone Alto ad un certo Eduardo De Filippo, fu protagonista della rappresentazione teatrale di Quaderno proibito (1952): forse il romanzo più intimo di Alba, scrittrice, perché ha al centro la scrittura, prima salvifica, poi preziosa, da nascondere, infine ossessiva. Fasi che l'autrice romana deve aver vissuto, come ha poi raccontato, occupandosi di letteratura e resistendo ai boicottaggi e alle difficoltà, nelle numerose interviste. Anche la vita di Irene, protagonista di Prima e dopo (1955), meriterebbe un'analisi più approfondita e attenta: il riesame della propria esistenza, una psicoterapia autonoma ed uno scavo nel divario insanabile tra passato e presente confermano che nessuno torna indietro, neanche la stessa Irene, che a partire da un fatto banale prende coscienza di tante importanti verità, traendone spunto per una crescita personale che può però sottintendere anche una delusione. Essere donna in carriera, infatti, non significa aver risolto i problemi e aver fatto i conti con i propri fantasmi. Il romanzo suggella la lotta interiore della protagonista e della scrittrice, che si accompagna ad una lotta esterna fatta di politica e attivismo (insieme all'amico, anch'esso di origini cubane, Italo Calvino, Alba fu tra i fondatori dell'Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba nel 1961). Proprio l'amore per la realtà caraibica e la stima verso Che Guevara e Fidel Castro sono l'ultimo pezzo (Con gran amor), purtroppo incompiuto, di un'opera che nella sua totalità si è dimostrata progressista nei contenuti e allo stesso tempo aderente alla realtà, non utopica e ferma nella convinzione di dover sfatare tabù antichi ed affermare con scritti di livello la non appartenenza alla "letteratura rosa".
Non un'altra Liala, per ricordare l'infelice definizione appioppata a Bassani e Cassola, ma una donna paladino dell'impegno civile - e il nome di Clorinda è tutto un programma - che terminò la propria vita a Parigi nel 1997 tramandando un'eredità all'umanità: una settimana prima della sua scomparsa, infatti, tutto il suo archivio fu donato agli Archivi Riuniti delle donne in Milano. L'11 marzo era e resterà il giorno in cui nacque quella scrittrice che fece del suo bisogno di vita e di libertà un motto interno a tutta la sua produzione scrittoria, prodotto all'altezza di un'intellettuale di alto rango impegnata nel cinema, nella poesia, nella narrativa, ma soprattutto uno spirito libero e una donna - per tornare circolarmente a riecheggiare il titolo del romanzo dell'amica Sibilla Aleramo - orgogliosa di esserlo, non di certo la prima, tuttavia unica nel saper condensare nella sua persona fragilità, eleganza, cultura e stile - sia letterario che personale - in un Novecento che ancora una volta ha regalato una rarità e dei libri irripetibili. Alba De Cespedes non è stata dimenticata, sarebbe un errore, occorre assolutamente rivalutarla e riscoprire le sue parole, che si sentono ancora e sono più vive che mai. Non è proibito leggere i suoi romanzi - magari accantonati ingiustamente su qualche bancarella di libri usati: l'esperienza di vita che c'è è qualcosa che si insinua nella mente di chi legge, rientra con forza nel bagaglio culturale dell'essere umano, quasi costretto a rivolgersi a lei citandola: «Le tue parole, le porto in tasca, un amuleto per quando mi sento sola. Le tue parole. E il tuo profilo, quando guidi. Il tuo sorriso, quando mi vedi arrivare. Porto tutto con me».