Le due porte che introducono alla città: Velletri accoglieva i suoi ospiti da Porta Romana e Porta Napoletana. La prima è purtroppo scomparsa ed è spezzettata in vari luoghi della città. La seconda, invece, è ancora luogo pulsante della cultura veliterna.
di Valentina Leone
VELLETRI - In una città orientarsi è fondamentale. Ancora di più a Velletri, dove un timoroso forestiero e persino un abitante veterano, le cui radici veliterne risalgono vertiginosamente diverse generazioni, potrebbero perdersi, attratti dal vortice di salite e discese, o imbattersi in una strada chiusa, troncata come il poetico Vicolo Corto.
La Velletri cinquecentesca, rimasta legata alla labirintica fisionomia della Belitri medievale, trovò i suoi punti cardinali principali, per metà ancora conservati, nelle due porte addossate alle mura di cinta turrite, una orientata a nord, a indicare il passaggio verso Roma, la gemella volta allo scirocco sulla via che porta a Napoli. Porta Napoletana, edificata da maestranze lombarde, risale agli anni ’10 del Cinquecento e fu costruita quale via di accesso al borgo medievale che si sviluppava lungo l’asse tracciato dall’attuale via di San Crispino e via Furio. Rimasta sfregiata dai bombardamenti, restaurata nel dopoguerra, la porta è oggi adibita all’esposizione di mostre, tuttavia conserva sul fianco sinistro l’avviso fatto incidere nel 1591 dalla Congregazione del Buon Governo che accoglieva così, con un laconico «si paga gabella», gli entranti. All’altro opposto polare, per completare la simmetria della città, corrispose qualche decennio più tardi il progetto di ricostruzione monumentale di Porta Romana, assegnato al celebre architetto Jacopo Barozzi da Vignola (1507-1573) il quale pochi mesi prima di morire consegnò i disegni del nuovo palazzo dei Priori e della Porta Romana.
Fu l’allievo del Vignola, Giacomo Della Porta, a eseguire e rispettare il prospetto tracciato dal maestro nel suo testamento ideale: una architettura svettante e snella, con linee geometriche lineari tese quasi a rendere leggera la pesante pietra estratta in una cava giacente nei pressi dell’attuale monumento ai caduti, a poca distanza dal luogo di posa dell’opera. Di questo monumento non rimane ai nostri giorni che la riproduzione di un’incisione antica, pagata a spese della Veliterna Ferramenta, posizionata sul palazzo di Corso della Repubblica un tempo adiacente alla porta. Nel 1839 fu infatti presa la decisione di demolire Porta Romana, considerata «sconcia» dai postali che dovevano svoltare sulla sinistra per raggiungere l’ufficio delle Poste e trovavano difficoltà, soprattutto con carrozze di una certa grandezza, non ad attraversare il portale, sufficientemente largo, ma a superare l’angolo ottuso creato dalla casa della famiglia Vendetta, che avrebbe dato i natali al rinomato brigante Cencio (1825-1859). In ottemperanza a ogni logica, che avrebbe voluto una semplice scantonatura dell’angolo ingombrante della casa, la porta fu sezionata, senza tenere conto delle ragioni storico-artistiche e della funzione simbolica di presentazione della città svolta dall’ingresso monumentale. Poca lungimiranza e scarsa cura verso un patrimonio pubblico, un leitmotiv ancora orecchiabile per le strade di Velletri e che non ha terminato di vendicarsi contro i pochi resti di Porta Romana.
Dispersi e disseminati, i blocchi rimasti, dopo numerose peregrinazioni, sono stati abbandonati all’erosione degli agenti esogeni nei giardini di piazza Garibaldi e della Villa Comunale. Solo di recente l’appassionato lavoro di Guido Giani, organizzatore di una mostra permanente su “Velletri nascosta” visitabile al polo espositivo dell’ex Istituto d’Arte “Juana Romani”, è riuscito a instillare nuova vita in questi sparuti pezzi, utilizzandoli per compiere delle misurazioni indispensabili per calcolare e rappresentare con un prospettiva in scala della perduta Porta Romana. Una restituzione delle fogge di uno dei due accessi di Velletri che allega a sé l’invito a salvare i blocchi della porta, per metterli dapprima in sicurezza e prospettare poi una possibile ricostruzione, almeno parziale, non solo su carta.
Fu l’allievo del Vignola, Giacomo Della Porta, a eseguire e rispettare il prospetto tracciato dal maestro nel suo testamento ideale: una architettura svettante e snella, con linee geometriche lineari tese quasi a rendere leggera la pesante pietra estratta in una cava giacente nei pressi dell’attuale monumento ai caduti, a poca distanza dal luogo di posa dell’opera. Di questo monumento non rimane ai nostri giorni che la riproduzione di un’incisione antica, pagata a spese della Veliterna Ferramenta, posizionata sul palazzo di Corso della Repubblica un tempo adiacente alla porta. Nel 1839 fu infatti presa la decisione di demolire Porta Romana, considerata «sconcia» dai postali che dovevano svoltare sulla sinistra per raggiungere l’ufficio delle Poste e trovavano difficoltà, soprattutto con carrozze di una certa grandezza, non ad attraversare il portale, sufficientemente largo, ma a superare l’angolo ottuso creato dalla casa della famiglia Vendetta, che avrebbe dato i natali al rinomato brigante Cencio (1825-1859). In ottemperanza a ogni logica, che avrebbe voluto una semplice scantonatura dell’angolo ingombrante della casa, la porta fu sezionata, senza tenere conto delle ragioni storico-artistiche e della funzione simbolica di presentazione della città svolta dall’ingresso monumentale. Poca lungimiranza e scarsa cura verso un patrimonio pubblico, un leitmotiv ancora orecchiabile per le strade di Velletri e che non ha terminato di vendicarsi contro i pochi resti di Porta Romana.
Dispersi e disseminati, i blocchi rimasti, dopo numerose peregrinazioni, sono stati abbandonati all’erosione degli agenti esogeni nei giardini di piazza Garibaldi e della Villa Comunale. Solo di recente l’appassionato lavoro di Guido Giani, organizzatore di una mostra permanente su “Velletri nascosta” visitabile al polo espositivo dell’ex Istituto d’Arte “Juana Romani”, è riuscito a instillare nuova vita in questi sparuti pezzi, utilizzandoli per compiere delle misurazioni indispensabili per calcolare e rappresentare con un prospettiva in scala della perduta Porta Romana. Una restituzione delle fogge di uno dei due accessi di Velletri che allega a sé l’invito a salvare i blocchi della porta, per metterli dapprima in sicurezza e prospettare poi una possibile ricostruzione, almeno parziale, non solo su carta.