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Intervista a Giuliano Aureli: vita partigiana, valori di una volta, giovani e conquiste dalla voce 'veliterna' della Resistenza

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La seconda guerra mondiale vista e raccontata da chi l'ha vissuta in prima persona. Tedeschi, fascisti, partigiani: tutti appellativi letti e riletti sui libri di storia ma che assumono un valore diverso se ascoltati guardando negli occhi chi li  ha conosciuti veramente. E a Velletri è possibile chiacchierare e ammirare la lucidità di Giuliano Aureli, presidente dell'ANPI e partigiano, recentemente insignito di una medaglia d'oro consegnatagli direttamente in Campidoglio. Non è veliterno di nascita ma d'adozione sicuramente sì, e la sua figura è un'istituzione ed un faro per i più giovani.

E' vivo nel racconto di Aureli, che ha risposto a numerose domande, il ricordo dei sentimenti di paura, terrore, poi gioia e felicità, vissuti quando da "ragazzo della Resistenza" partecipava appena 14enne ai fatti della guerra. Una fanciullezza completamente diversa da quella degli attuali adolescenti, ma anche sorretta da diversi valori che oggi sono un pò impolverati. Il prossimo referendum, la posizione di Velletri vista da Roma negli anni del conflitto, Pratolungo e l'attualità sono solo alcuni dei temi toccati in un'intervista che, nel bene e nel male, qualunque sia l'opinione politica del lettore, fa riflettere e ci catapulta all'indietro, in un tempo che non è poi così lontano.



Giuliano Aureli, di qualche settimana fa è la notizia della Medaglia: come si è arrivati a questo riconoscimento e cosa ha provato?

L'idea è partita - come ha ricordato lo stesso Ministro della Difesa - quando un compagno partigiano in Piemonte, a Torino, ha fatto un'esternazione. Questo compagno ha detto che fatta la Resistenza con migliaia di giovani partecipanti, donne e uomini, non c'è stato mai un riconoscimento ufficiale, anche solo simbolico, per ricordare. Abbiamo costruito la Costituzione, pietra miliare su cui doveva basarsi la società, e nonostante tutto siamo rimasti ognuno al proprio posto. Subito dopo la fine del conflitto, infatti, siamo tornati a lavorare per la ricostruzione del paese, e non ci sono mai state particolari cerimonie a parte il 25 aprile - che è caduto un po’ nell'oblio questo periodo. La ministra Pinotti si è assunta l’incarico di darci questo riconoscimento, che consiste in un diploma e in una medaglia per quanto fatto per la Liberazione, costata migliaia di morti, visto che non ce l’ha regalata nessuno. Quando si va nelle scuole - e io continuo a farlo e lo farò finché avrò un filo di voce - pongo il problema del costo della libertà del nostro paese. I ragazzi sono convinti di questa libertà? Escluso quando si può stare fuori da casa fino alle 7 di sera, cosa si intende per libertà? Sempre, davanti a queste domande, nasce un certo dibattito. Per noi è gratificante questo perché ci aiuta a ricordare e sottolineare la presenza dell’attività partigiana.

L’ANPI a Velletri è attivo. E’ venuto qualcuno dell’amministrazione comunale alla Cerimonia di Roma? E che cultura dei partigiani c’è a Velletri? 

Siamo stati soddisfatti del sostegno dell'amministrazione, è venuto il Sindaco Servadio, che mi ha accompagnato insieme ad altri Sindaci della provincia. Per quanto riguarda la cultura dei partigiani a Velletri è stata iniziativa mia creare un’associazione partendo dai fatti di Pratolungo. Pratolungo è precedente alle Fosse Ardeatine e questo è caduto nella dimenticanza.
Cippo per i Martiri di Pratolungo
Avvenivano così, come in quella contrada, le vendette dell’esercito nazista su questo territorio, che da quello che risulta dai documenti disponibili e dai fatti storici, non è stato molto studiato per gli anni della guerra. Abbiamo il solo punto di riferimento del diario di Laracca, che è ammirevole ma non fa un’analisi politica bensì una cronaca delle cose accadute. A Velletri gli studiosi e gli storici contemporanei hanno tanto da fare. La difficoltà, crediamo noi come compagni – e io sono ancora oggi un ragazzo della resistenza – sta nel fatto che il territorio veliterno fosse occupato dai nazisti perché c’era stato lo sbarco ad Anzio. Qui, allora, era molto difficile creare dei gruppi partigiani, anche se ci sono state azioni non indifferenti in tutti i Castelli. Il nostro circolo è stato intitolato a Edmondo Fondi, uomo coriaceo e combattente, che aveva sempre fatto opposizione ai fascisti locali ed è stato scoperto mentre portava delle armi per i gruppi partigiani. Ma per tornare a Pratolungo, non è un semplice episodio di combattimento: si è fatto tanto scalpore su via Rasella a Roma, qui invece è una tragedia quasi dimenticata. Noi l’abbiamo ripresa, rintracciando tre nipoti di alcune vittime, e organizzando la commemorazione ogni anno. L’ANPI, in più, ha fatto una grossa iniziativa nelle scuole. Portiamo trecento ragazzi alle Fosse Ardeatine, dopo una preparazione in classe. Per tre anni di fila abbiamo anche preso un articolo della Costituzione e lo abbiamo spiegato a centinaia di studenti, per poi raccontare la storia della libertà, il percorso e il costo per raggiungerla. I ragazzi sono molto attenti e c’è colloquio, con un linguaggio semplice loro ci stanno dietro e ci ascoltano con interesse. La fanciullezza per noi non c’è stata, noi non siamo potuti andare a scuola, mentre per loro oggi è un sacrificio. 


Per quanto riguarda la Costituzione, come si pone Giuliano Aureli di fronte al Referendum che ormai è fissato al 4 dicembre?

Noi diciamo che prima di cambiare la Costituzione bisogna applicarla e ci vuole un vasto movimento dal basso per cambiarla, occorre discutere. Oggi è una forza politica a cercare di cambiarla, domani un’altra, e si approfitta per avere una maggioranza assoluta. Noi abbiamo lottato contro la Legge Truffa, contro il governo Tambroni, non siamo un partito e ci teniamo a fare un discorso con tutti i partiti e con tutte le forze politiche. Durante la guerra partigiana, nel CLN, avevamo liberali, monarchici, democristiani, comunisti e socialisti. Abbiamo fatto molte battaglie, il 24 marzo 1944 ci sono state le Fosse Ardeatine e non ne abbiamo saputo nemmeno nulla: solo sul “Messaggero” era uscito qualche giorno dopo che era stata fatta la rappresaglia ma non dicevano né dove né come né quando. I tedeschi conoscevano il terreno meglio di noi se lo erano studiato bene come sempre. Queste vite umane date per uno Stato rappresentato dalla Costituzione devono farci riflettere.

Una domanda che si lega all’attualità: è morto da poco Carlo Azeglio Ciampi e uno dei suoi ultimi libri è stato “Non è questo il paese che sognavo”. Secondo te è questa l’Italia che voi volevate? 

Inizialmente la abbiamo voluta in un certo modo prendendo le armi e facendo le azioni che abbiamo fatto. Non va dimenticato però che per noi esistettero due pilastri importanti: il calore e la solidarietà del popolo, che in quel momento ha visto che il castello di carta costruito dal Fascismo era crollato. Nel nostro tempo sono avvenute varie guerre: in Abissinia, in Africa, il cosiddetto volontariato in Spagna dove sono stati provati i bombardamenti dall’alto che furono osservati dai tedeschi per gli effetti che provavano sui civili (e anche solo guardando i monumenti, come quello in piazza Garibaldi, si vede come la maggior parte dei morti della seconda guerra sono state vittime civili, mentre la prima guerra è stata di trincea). Le parole d’ordine per noi, invece, erano pace, meno sofferenze e basta alla guerra dichiarata senza che il popolo italiano lo volesse. Sono stato meravigliato perché in quel periodo abbiamo lasciato in Libia 45 miliardi dei nostri soldi, un terzo di tutta l’economia del nostro Paese. Noi pensavamo che quei pilastri della Costituzione dell’Italia Repubblicana sarebbero stati per sempre validi, e invece non è così, siamo tornati indietro troppo in fretta. Il popolo italiano dimentica. Noi abbiamo lottato per liberarci una dittatura, ma le cose non vanno. Mi domando perché gli italiani siano lontani dalla politica, quando noi abbiamo donato la vita per questo diritto. Nel gruppo nostro ci fu un caduto di dodici anni, medaglia d’oro dopo settant’anni, data da Napolitano perché abbiamo fatto pressione. È stato partigiano per un giorno e ha fatto sganciare gran parte dei compagni nel reatino sul monte Tancia. Uno dei sedici compagni che fece l’azione a Via Casella, di cui la maggioranza erano studenti universitari, si chiamava Blasi e aveva il vizio del furto. Fece appunto il furto in un negozio e la sera venne preso da una squadra di ronda dei tedeschi; riferì tutto, ma non sapeva tutti i nomi perché i partigiani avevano un nome di battaglia.
Monumento a Pratolungo
Abbiamo avuto con noi Carla Capponi, l’unica donna che faceva parte dei sedici gappisti di Tor Pignattara e l’abbiamo mandata a Palestrina, mentre altri ventuno giovani erano impegnati sul monte Tancia. Questo è il clima di quel periodo, la vita era considerata preziosa e al tempo stesso insignificante. Quando il sacerdote, finita la battaglia del monte Tancia, raccolse i cadaveri vedemmo anche il corpo, mutilato nella maniera più oscena, del compagno Sangalli che era stato ferito gravemente e non aveva fatto in tempo a uccidersi. E' questo il tipo di gioventù che abbiamo avuto. Quando Togliatti era ministro della Giustizia diede l’amnistia ma disse che chi si era macchiato di gravi fatti di sangue doveva essere condannato. Invece non è stato così. C’è stata gente condannata a venti o trent’anni che dopo poco ha riacquistato la libertà, mentre c’è stata rivalsa sui partigiani. Abbiamo avuto decine di arresti e condanne per vari motivi. Ci sono stati tanti episodi del genere, ma dobbiamo capire anche il momento in cui avvennero. La gioventù era stata educata a “Credere, obbedire, combattere”, motto iscritto sui cinturoni. Mio papà ha avuto vent’anni di sorveglianza speciale e la Resistenza è partita già dagli anni di affermazione del fascismo, non dall’8 settembre 1943. Il motto dei fascisti era “Oggi in Spagna, domani in Italia”. 


Pensi che le diverse testimonianze di autori che sono stati prima partigiani e poi scrittori possano essere ancora utili per veicolare in una forma diversa dalla testimonianza diretta il valore delle vostre battaglie? 

Moltissimo, perché non sono incasellate in un’ideologia. Sono ancora più apprezzabili per il fatto di arrivare alle nuove generazioni e bisognerebbe invece incoraggiare questa diffusione. Bisogna avere sempre presenti i valori fondanti, gli scrittori li rappresentano e li raccontano. 

Quali sono gli episodi che racchiudono la tua esperienza di partigiano e sceglieresti tra i tanti come esemplari per i giovani? 

Per primo racconterei della mia borgata. Noi eravamo alla periferia, a Tor Pignattara presso la Certosa. Abbiamo tenuto per una giornata Giuseppe Di Vittorio, che era deputato. La borgata mi ha dato un po’ tutto, nel sociale e anche in fatto di solidarietà. In una strada della borgata al tempo del Fascismo c’erano dieci tra confinati e persone che, come mio padre, avevano avuto alle spalle la sorveglianza. Tutto ciò era paradossalmente un vantaggio perché c’era costante comunicazione tra chi portava notizie dal confine e chi comunicava le novità della borgata. La borgata non si è mai arresa: noi mettevamo la bandiera rossa sul più alto pino del quartiere e i tedeschi e i fascisti erano avvelenati per questo. Abbiamo nascosto le armi automatiche, prese dallo sbarco di Anzio, in una galleria. Comunque l’equipaggiamento normale di un partigiano era costituito da due bombe a mano e da una pistola, era impossibile portarsi altro perché bisognava passare inosservati. Per conservare queste armi mettevamo un po’ di olio su un panno, le avvolgevamo e le collocavamo in una galleria. I tedeschi provavano a trovarle e vennero a perquisire tutta la borgata, anche casa mia, ed è stato un momento delicatissimo: mio padre non tornò a casa perché era riconosciuto come partigiano e sarebbe stato arrestato. 

A che età hai iniziato a fare il partigiano? 

Non avevo nemmeno 14 anni. Quello che rimane di quei tempi è stata l’umanità della gente che avevo attorno e il rispetto che avevano, gli adulti, anche nei confronti dei giovani. Ciascuno di noi impallidiva di fronte al passato di questi compagni, alcuni dei quali con esperienze carcerarie. 

La presenza delle donne, emersa anche da tante testimonianze? 

Secondo me è un fenomeno che è stato sottovalutato. Senza le donne non avremmo avuto tante battaglie vinte e la mobilitazione: ad esempio l’assalto ai forni è stato organizzato dalle donne. Le nostre madri sono state eccezionali. Senza le donne non si potevano curare feriti, né nascondere le armi, non si poteva portare materiale clandestino. Sono state più di quello che si dice, anche se ancora c’era e c’è una mentalità maschile. Nelle sfilate sono ancora poche le donne che partecipano, eppure ci sono state 600 cadute, tante hanno patito torture inenarrabili e non hanno parlato. Adesso la donna è ritornata nell’alveo familiare, sole le battaglie degli anni ’60 e ’70 hanno cercato di smuovere la situazione. 

Riguardo alle varie iniziative che voi fate nelle scuole hai dichiarato che i giovani sono molto attenti. Hai fiducia nei giovani di oggi in generale? 

Il potenziale c’è, il problema però è politico. Tutti si turano il naso, nessuno si sente di appoggiare una situazione che recita una disoccupazione al 38%. Lo studio non consente più direttamente di lavorare. Invece rispetto a quello che noi abbiamo vissuto, senza possibilità di continuare la formazione, studiare oggi consente una elevazione. Ma purtroppo in molti casi dopo il diploma non c’è niente. Oggi il giovane si sente incompreso e su questo incidono tante cose.
Giuliano Aureli e Fausto Servadio
Molti se ne vanno all'estero e vengono accolti, in questo modo disperdiamo il patrimonio che abbiamo impegnato per la formazione di questi stessi giovani. È uno spreco. Il disagio di queste generazioni è un problema politico, non partitico. Sono gli uomini che non fanno le cose che dicono, economicamente non avanziamo e siamo ultimi nella ricerca scientifica. Io ho fiducia nei giovani ma bisogna metterli in condizione di realizzarsi. Avevamo di fronte a noi grandi problemi e abbiamo lavorato per superarli, oggi non è materialmente possibile. L’agricoltura potrebbe essere un settore di punta e un’attrattiva per i giovani se sostenuta in modo convincente. 


Per quanto riguarda il referendum l’Anpi sembra sia schierato per il no. Tu, dopo averci detto la tua posizione, cosa puoi dirci del dibattito interno all'ANPI e cosa ne pensi, più nello specifico, dell’idea di cambiare la Costituzione e delle modifiche proposte? 

Non è per partito preso questa mia posizione, lo preciso subito.  Al Congresso nazionale dell’ANPI su 347 delegati, 346 si sono schierati per il “no”. Discutiamo invece dell’applicazione della Costituzione. Noi, come Stato, abbiamo perso la fiducia dei giovani proprio perché la Costituzione non è stata applicata. Anche solo l’articolo primo non trova riscontro con questi livelli di disoccupazione. La Costituzione può essere cambiata su alcune cose, ma a me sorge un dubbio: la Costituzione americana ad esempio, di duecento anni fa, non è stata cambiata. Possibile che nella loro società non ci siano stati cambiamenti? O forse è perchè i cardini sono rimasti quelli? Io dico che i cardini della Costituzione non vanno cambiati, le battaglie vanno fatte e vinte in Parlamento. È antidemocratico dire che il mio voto vale un terzo di un voto di un altro. Io non mi sono battuto per questo, ma per un voto democratico. Se inoltre avere a favore i due terzi del Parlamento porta a questo tipo di riforme io non sono d’accordo, perché le riforme degli ultimi anni sembra che non abbiano portato a nulla. Su alcune cose si può discutere, ma non si può andare solo a colpi di maggioranza perché oggi esiste ancora la possibilità di un referendum, un domani potrebbe non esserci se ci sarà la maggioranza assoluta. Questa eventualità per me non è democrazia. 

Quando e come sei approdato a Velletri? Che ambiente hai trovato in questa città e come è cambiato da allora ad oggi?

A Velletri io conoscevo il sindaco Francesco Velletri. Avevo contatti con lui e con l’Associazione Giovanile Comunista di Velletri, che annoverava tra i suoi esponenti Giglio, futuro responsabile della Camera del Lavoro nelle lotte del bracciantato. Velletri è stata una città presente nelle battaglie civili. Adesso mi sembra che si siano persi questi connotati.
Giuliano Aureli e il Direttore di Velletri Life
Io sono stato accolto da una società solidale. A Velletri sono venuto grazie a mia moglie, persona che voglio ricordare perché mi ha sempre sostenuto. Era una compagna battagliera e si tirava dietro le alttre compagne. Quando sono venuto ho trovato una società in fermento. I problemi ci sono e devono essere discussi con coscienza, adesso si punta tutto sull’industria e si lasciano morire invece le pratiche artigiane che hanno costituito per tanto tempo l’economia di questi centri. 


C’è una poesia/canzone di un partigiano, nome di battaglia Santiago alias Italo Calvino, che dice “Avevamo vent’anni oltre il ponte, oltre il ponte la mano nemica/ vedevamo all’altra riva la vita, tutto il bene avevamo di fronte”. Che cosa vedevi tu oltre il ponte? 

Oltre il ponte per me significa vedere e rivedere il 25 aprile, è stata una grande felicità. Ci liberavamo da questa grande massa oscura perché fin da piccoli ideologicamente dovevamo essere attrezzati per la guerra. I treni partivano in orario per andare in guerra, ma questa demagogia aveva purtroppo conquistato tanti italiani. In quel giorno noi vedemmo un sogno divenuto realtà: una cosa magnifica era che si discuteva, si cominciava a parlare di altre cose. Si lavorava affinché non ci fossero più guerre. Io sono felice quando il tempo è nuvolo perché a quei tempi quando era nuvoloso non si alzavano gli aerei e non si bombardava. Questo forse è utile per esemplificarvi le ossessioni di una guerra che rimangono sulla pelle di chi le ha fatte, per sempre. Per quelli che non la hanno vissuta io dico sempre, soprattutto ai giovani, di andare a piazza Garibaldi e guardare la lista dei caduti, soprattutto i civili.

Intervista a cura di Rocco Della Corte

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