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XIX Domenica T.O.: "Un cristiano che inciampa" a cura di don Gaetano Zaralli

Testo
Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno. Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate (Lc 12,32–40).

Commento
Il padrone tarda a venire.

In questa frase si racchiude tutto il problema che la Chiesa di Luca stava vivendo in quel tempo. L’attesa prolungata della realizzazione del Regno di Dio, che tutti ritenevano imminente, incominciava a stancare gli animi. C’era stata grande speranza fin lì, ma alla tensione che in un primo momento era andata crescendo in modo eccessivo e artificioso attorno all’immediata venuta del Signore, stava subentrando la freddezza di chi non crede più alle favole e di chi preferisce un bene immediato alle promesse legate a un “poi” di incerta consistenza.
La crisi di allora potrebbe essere la crisi di oggi; o meglio, la svogliata attenzione che i primi seguaci di Cristo riservavano ai valori essenziali predicati con la forza propria degli apostoli, è la stessa che da sempre, oggi forse in maniera più evidente, affiora nella mentalità e nei costumi dei popoli che credono in Cristo.
Un cristiano, che confonde il regno di Dio con il paradiso, la fine dei tempi con la morte e la venuta del Signore con il giudizio universale, ha perso già la misura del presente e il gusto di viverlo nella pienezza delle proprie risorse.
Un cristiano che inciampa nelle circostanze che sono l’essenza dei suoi giorni, perché guarda per aria con la speranza di scoprire tra le nuvole qualcosa che mai troverà, cade irrimediabilmente nella trappola delle vane illusioni.
Se il cielo e la terra non si abbracciano, se l’umano non incontra il divino, là dove il divino si è fatto uomo, l’uomo si ritroverà a essere morto prima ancora di morire e il messaggio del Regno dei Cieli passerà sulla testa di tutti, senza poter trarre dal profondo delle coscienze quei tesori che i ladri non rubano e che la tignola non consuma.

Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

L’evangelista per dare una svegliata alle coscienze scaraventa contro l’indifferenza e l’appiattimento soporifero dei suoi fedeli la dolcezza e la crudezza di tre piccole parabole lasciate in eredità da Gesù.
Si ha oggi estremo bisogno della capacità di un uomo di Dio di stare immerso nel suo tempo e di tentarne un’interpretazione al lume del vangelo in cui crede fermamente, come un compagno di viaggio che le cose del cielo non hanno distolto dalle passioni dei suoi contemporanei.

Le prediche, anche quelle dei prelati, spesse volte galleggiano a mezz’aria sulle teste dell’uditorio, perché chi le fa non si mette in gioco, anzi, si chiama fuori, adducendo di sapere già come andrà a finire, senza peraltro rendere partecipe l’uditorio della sua vita, dei suoi interessi, delle sue preoccupazioni e gioie, delle curiosità che lo affascinano, delle eterne domande che lo assillano.

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